Un manuale di etnografia carceraria

carcere-santa-maria-capua-vetere-ansaL'inchiesta. Il provvedimento con cui la procura della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha eseguito ben 52 misure cautelari nei confronti di altrettanti appartenenti al corpo di Polizia penitenziaria e funzionari dell’amministrazione costituisce un manuale di etnografia carceraria

di Patrizio Gonnella su il manifesto del 29 giugno 2021

Torture, lesioni, depistaggio, falso. Non è questo un sommario dei fatti accaduti a Genova nel 2001 ma è il cuore dell’inchiesta sulle violenze avvenute nel carcere di Santa Maria Capua Vetere il 6 aprile 2020 in pieno lockdown. Il provvedimento con cui la procura della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha eseguito ben 52 misure cautelari nei confronti di altrettanti appartenenti al corpo di Polizia penitenziaria e funzionari dell’amministrazione costituisce un manuale di etnografia carceraria. 

Il primo elemento è la pianificazione della rappresaglia. Dalle conversazioni via whatsapp avvenute tra gli agenti, tratte dagli smartphone sequestrati all’indomani dei fatti, emerge chiara la voglia di vendicarsi per le proteste inscenate dai detenuti nei giorni precedenti. La vendetta si consuma sempre con un’azione spettacolare di forza e violenza. L’operazione a Santa Maria Capua Vetere, che viene giustificata con l’esigenza di fare una perquisizione straordinaria alla ricerca di armi improprie, è condotta da centinaia di agenti quando oramai in carcere non c’era più tensione. 

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La ‘Mattanza’ di Santa Maria Capua Vetere. Il punto sugli arresti.

carcere SMCVNel carcere di Santa Maria Capua Vetere nei giorni della Settimana Santa, un commando di oltre un centinaio di poliziotti, a viso coperto e in tenuta antisommossa, secondo le testimonianze, entrava nell’istituto dando vita ad un pestaggio disumano ai danni dei detenuti reclusi nel reparto Nilo. Queste denunce sono state poste all’attenzione della nostra Associazione da diversi familiari dei ristretti nelle immediate ore successive al 6 aprile 2020. Da subito abbiamo avuto la percezione che quello di cui ci veniva raccontato avrebbe costituito una grave sospensione delle garanzie del nostro stato di diritto, che aveva condotto all’esercizio incondizionato e brutale della violenza da parte delle forze dell’ordine. 

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Giornata internazionale contro la tortura. Il nostro dossier con i procedimenti in corso in Italia

dossier torturaUn dossier sull'applicazione della legge a quattro anni dall'introduzione del reato di tortura. E' quello che ha realizzato Antigone in occasione della Giornata Internazionale per le Vittime di Tortura.
Quattro anni fa fu introdotto nel codice penale italiano il reato di tortura (il 613-bis). Erano passati quasi 30 anni da quando l'Italia aveva ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite impegnandosi davanti agli organismi internazionali a perseguire e punire questo crimine contro l'umanità. Tuttavia i vari tentativi compiuti non avevano portato all'esito atteso. Nel frattempo nel paese la tortura esisteva e veniva - purtroppo - praticata, come ci hanno dimostrato alcune sentenze della Corte Europea per i Diritti dell'Uomo che condannò il nostro paese per le torture nel carcere di Asti e per quelle nella caserma di Bolzaneto durante il G8 di Genova.

"Quel testo - ricorda Patrizio Gonnella, presidente di Antigone - fu figlio di un compromesso che lo staccò da quella che erano le previsioni contenute nella Convenzione Onu. Tuttavia come associazione, lo difendemmo e chiedemmo l'approvazione. Sappiamo infatti che non sempre avere la migliore possibile delle leggi basta. Quello che conta, spesso, è la cultura giuridica di chi poi quelle leggi le applica. Inoltre eravamo certi che anche con l'attuale formulazione, mantenesse i criteri per una ampia applicazione. A distanza di quattro anni ne abbiamo avuto prova, con diversi procedimenti e processi avviati contro presunti torturatori e le prime condanne". 

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Indagine parlamentare sulle toghe, un colpo a Montesquieu

magistrati-a-cottimoLa Commissione di inchiesta sulla magistratura voluta da alcune forze politiche, per la sua natura evidentemente politico-punitiva, porta con sé il rischio di una progressiva erosione di indipendenza.

di Patrizio Gonnella su il manifesto del 25 aprile 2021

Sono tanti i motivi per cui ritengo che il Parlamento non debba mettere sotto indagine la magistratura, si muovono su piani diversi pur essendo tra loro correlati in modo inestricabile. Motivi che attengono all’essenza della democrazia costituzionale. 

Il principio enunciato all’articolo 101 della Carta secondo cui «I giudici sono soggetti soltanto alla legge» va interpretato in considerazione della necessità democratica di preservare l’indipendenza dei giudici e tenerli fuori dall’orbita del potere, come ci ha insegnato Luigi Ferrajoli. 

Non è questo un principio da interpretare come espressione di chiusura corporativa. Sin dalla fine degli anni ‘60 del secolo scorso Magistratura Democratica, nata nel 1964 e a cui tanto dobbiamo per lo sviluppo di una cultura della giurisdizione rispettosa dei diritti fondamentali, interpretava l’art. 101 della Costituzione da un lato per colpire quel legame distorto e pericoloso che aveva tradizionalmente e pericolosamente unito giudici e politica e dall’altro per riconnettere giuridicamente e sentimentalmente la magistratura a norme e spirito costituzionale. 

A sua volta l’art. 3 della Carta, con il suo richiamo forte all’uguaglianza e alla dignità, richiede frammentazione del potere pubblico. L’indipendenza della magistratura deve essere sia interna che esterna. La storia italiana è stata segnata da deviazioni istituzionali, crimini, progetti eversivi. L’indipendenza della magistratura deve essere garantita, protetta, promossa a tutti i costi, anche nei momenti più difficili della magistratura stessa, vittima di pratiche consociative. 

Ogni piccola erosione allo spazio di autogoverno, autonomia e indipendenza rischia di produrre effetti a catena negativi sull’architrave del sistema costituzionale che, ricordiamolo, retroagisce a Montesquieu il quale così scriveva: «E non vi è libertà neppure quando il potere giudiziario non è separato dal potere legislativo e da quello esecutivo. Se fosse unito al potere legislativo, il potere sulla vita e sulla libertà dei cittadini sarebbe arbitrario: poiché il giudice sarebbe il legislatore. Se fosse unito al potere esecutivo, il giudice potrebbe avere la forza di un oppressore». 

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La criminologia e il coraggio del diritto

Corridoio carcere internoGiustizia. L’incostituzionalità dell’ergastolo ostativo è oramai accertata. E se il Parlamento farà finta di nulla, allora sarà la Corte a dover intervenire con una sentenza che a quel punto sarà inevitabile.

di Patrizio Gonnella su il manifesto del 16 aprile 2021

L’incostituzionalità dell’ergastolo ostativo è oramai accertata. E se il Parlamento farà finta di nulla, allora sarà la Corte a dover intervenire con una sentenza che a quel punto sarà inevitabile. Tutto ritorna dunque nelle mani delle forze politiche, così come era accaduto nel caso della vicenda Cappato sulla non punibilità dell’aiuto al suicidio. 

La Corte, ancora una volta quando si tratta di temi delicati e divisivi, lancia un ultimatum al legislatore affinché ascolti le sue ragioni. L’ergastolo senza speranza resterà dunque in vita al massimo fino a maggio 2022, nonostante sia ritenuto illegittimo dalla Consulta che è stata netta, per la seconda volta in due anni, nell’affermare che la collaborazione con la giustizia non può essere l’unica via per riacquistare la libertà. Gli articoli 3 e 27 della Costituzione, nonché l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, sono in contraddizione profonda con il carcere a vita senza speranza. La Corte afferma che deve essere sempre concessa al detenuto ergastolano la possibilità di ottenere la liberazione condizionale qualora il ravvedimento sia sicuro. 

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Accesso alla detenzione domiciliare. Antigone: "bene la dichiarazione di incostituzionalità della norma ostativa per i detenuti ultrasettantenni recidivi"

carcere corridoio"Accogliamo con favore la notizia che la Consulta ha dichiarato incostituzionale proibire sempre e comunque a un detenuto ultrasettantenne di accedere alla detenzione domiciliare in quanto recidivo. Cade dunque quella preclusione automatica prevista dall’ordinamento penitenziario. La valutazione del percorso detentivo deve essere sempre individuale, lasciando libero il magistrato di sorveglianza di decidere caso per caso, valutando la concreta pericolosità sociale della persona. La legge Cirielli del 2005, che noi chiamammo ammazza-Gozzini, aveva introdotto una serie di preclusioni nell’accesso ai benefici di legge per i detenuti recidivi, la stragrande maggioranza di chi abita le carceri italiane. Piano piano queste preclusioni sono andate a cadere. 

La decisione della Corte si pone sulla scia di altre decisioni, provenienti pure dalla Corte di Strasburgo, che indicano nella valutazione individuale della persona sottoposta a pena detentiva l’unica condizione non lesiva della dignità della persona.  Ci auguriamo che nella stessa direzione possa andare la decisione, attesa nelle prossime ore da parte della Consulta, relativa all’ergastolo ostativo". 

Queste le dichiarazioni di Patrizio Gonnella, presidente di Antigone.

Una volta fuori: percorsi e opportunità a Bologna dopo la pena

guida una volta fuoriUna volta fuori: percorsi è opportunità a Bologna dopo la pena è una guida (che potete scaricare qui in italiano e qui in inglese) che nasce con l’obiettivo di fornire uno strumento volto a sostenere le persone in uscita dal circuito penitenziario in una fase particolarmente delicata del loro percorso biografico.

Le dimissioni dal carcere e, in forma diversa, la conclusione di percorsi in misura alternativa, rappresentano un momento di forte disorientamento, in particolare per coloro che si trovano privi di risorse o di contatti sul territorio.

Il progetto intende pertanto fornire un vademecum dettagliato a partire dai bisogni e dalle necessità maggiormente avvertite dai dimittendi.

Lo strumento è destinato in particolare alle persone detenute nel reparto maschile del carcere di Bologna: si tratta di una scelta voluta, sapendo come le esigenze, i desideri, le aspettative siano legate anche alla specificità di genere. L'Associazione Antigone Emilia Romagna ha infatti in programma di realizzare analogo strumento dedicato alle donne in uscita dai circuiti penitenziari della Regione.

In considerazione dell'articolata offerta di servizi presente sul territorio bolognese, la guida si propone di essere d'ausilio anche per i diversi operatori penitenziari e del sociale che si occupano a vario titolo dei percorsi di reinserimento.

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Il garantismo come legge del più debole e dell’oppresso, contro il potere

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Questo articolo è stato pubblicato nell'inserto speciale per i 30 anni di Antigone, all'interno del manifesto del 17 febbraio 2021.

La nostra giustizia penale è classista: nelle carceri ci sono tossicodipendenti immigrati e condannati per reati di strada. Il diritto penale - almeno luogo dell’uguaglianza davanti alla legge - è diventato il luogo della massima disuguaglianza

 

di Luigi Ferrajoli

Fu Rossana Rossanda a decidere il nome. Perché Antigone? 

Perché quel nome alludeva al punto di vista esterno – il punto di vista della giustizia, della morale e della politica – con cui intendevamo guardare alle durezze e alle iniquità del diritto penale, alle involuzioni inquisitorie dei processi e alle condizioni di illegalità delle nostre carceri. Allora, alla nascita della prima serie della rivista – nel 1985, sei anni prima della nascita dell’Associazione, nel 1991 – la nostra critica si rivolgeva alla legislazione e alla giurisdizione d’eccezione, che in quegli anni avevano ridotto il già debole sistema delle garanzie del corretto processo. 

Il nostro richiamo ad Antigone si identificava perciò con l’opzione per il garantismo penale contro le degenerazioni indotte dall’emergenza del terrorismo e manifestatesi nelle leggi eccezionali e in taluni grandi processi di stampo inquisitorio, a cominciare da quello del 7 aprile contro l’Autonomia operaia. 

Si trattava di una battaglia in difesa delle garanzie penali e processuali proprie dello stato di diritto. Ed è sintomatico dell’arretratezza del nostro sistema politico il fatto che quella battaglia, puramente liberale, fosse condotta da quella che allora era la sinistra cosiddetta estrema. 

Ma l’Antigone che Rossana volle come nome della nostra rivista e alla quale dedicò, proprio in quegli anni, uno splendido saggio, simboleggiava molto di più. 

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Di buon auspicio le parole di Draghi sul carcere. La giustiza ritrovi la sua mitezza"

Mario DraghiLe parole di Mario Draghi, pronunciate oggi alla Camera dei Deputati, rappresentano un importante segnale di attenzione verso il mondo penitenziario che, nell'ultimo anno, ha vissuto momenti molto difficili a causa dei provvedimenti adottati per rispondere all'emergenza Covid. Provvedimenti che hanno portato ulteriori chiusure in un luogo di per sé già chiuso e comportato, di conseguenza, un aggravamento della pena detentiva. 

Non è scontato che un Presidente del Consiglio tratti di questo tema durante un dibattito sulla fiducia, annunciando l'intenzione di riservare particolare attenzione al mondo penitenziario. In particolare Draghi ha sostenuto come non dovrà essere trascurata la condizione di tutti coloro che lavorano e vivono nelle carceri, spesso sovraffollate ed esposte a rischio e paura del contagio e particolarmente colpite dalla funzione necessarie a contrastare la diffusione del virus.

Un'apertura importante dunque che, insieme alla nomina di Marta Cartabia al Ministero della Giustizia, ci sembra di buon auspicio affinché la dignità umana e l'idea di una giustizia non vendicativa possano essere il faro che guiderà l'operato del nuovo governo. E' importante che la giustizia ritrovi quella mitezza che dovrebbe caratterizzarla.

Un’ostinata razionalità per non essere trascinati nella «questione criminale»

variante antigoneQuesto articolo è stato pubblicato nell'inserto speciale (che puoi leggere qui) che il manifesto ha pubblicato il 17 febbraio 2021, in occasione del 30° compleanno della nostra associazione.

Giustizia. Nessuno, giudice o custode, ha nella propria disponibilità la dignità e i diritti fondamentali delle persone arrestate o detenute. Ci disse un capo dell’amministrazione penitenziaria: «La tortura sta nel terzo mondo». Poi ci furono: carcere di Sassari e Global Forum di Napoli, scuola Diaz e Bolzaneto... e tanti fatti di «cronaca».

di Mauro Palma, Stefano Anastasia, Patrizio Gonnella

Ha ancora senso, dopo trent’anni, interrogarsi sull’intuizione che si ebbe nel 1991 quando si decise di dar vita a un’associazione volta alla tutela dei diritti e delle garanzie nel sistema penale. Quel che è accaduto negli ultimi tre decenni ci racconta di quanto quell’intuizione sia servita a controbilanciare la progressiva esondazione delle politiche criminali e, più genericamente, repressive. 

I numeri della popolazione detenuta sono un indice di questa presenza ingombrante: se nel ‘91 i detenuti erano poco più di 30 mila, oggi – nonostante le scarcerazioni dovute all’emergenza pandemica in corso – sono oltre 53 mila, avendo nell’arco del trentennio quasi raggiunto il picco dei 70 mila. E nel frattempo si è moltiplicata per dieci l’area penale esterna, senza però che questo aumento abbia parallelamente scalfito la crescita della pena detentiva e, quindi, i numeri del carcere. 

Sono passati trent’anni lungo i quali abbiamo assistito e fatto opposizione a una diffusa deriva securitaria. 

Mentre con sguardo miope si osservava estasiati, sia da destra che da sinistra, il modello della zero tolerance proposto oltreoceano dall’allora sindaco di New York Rudolph Giuliani, Antigone si affidava a un’ostinata razionalità affinché non si trascinasse nella questione criminale ciò che avrebbe dovuto avere solo ed esclusivamente rilevanza sociale: l’immigrazione, la povertà diffusa, l’uso di sostanze stupefacenti. Intellettuali che «si baloccano con Cesare Beccaria»: così ci siamo sentiti qualificare su qualche giornale mainstream quando contrastavamo uno dei tanti pacchetti sicurezza che se la prendeva con i lavavetri al grido che i rumeni sono tutti delinquenti. All’epoca Rudolph Giuliani andava di moda, era considerato un totem. Oggi è trattato come l’avvocato pazzo di Trump. 

Noi siamo invece rimasti fedeli a quell’opzione garantista che sa scorgere le possibili derive del potere di punire. 

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