La prima condanna di un poliziotto penitenziario. Antigone: "nessuno superiore davanti alla legge"

carceri"Quella di oggi per i fatti relativi alle violenze avvenute nei confronti di un detenuto nel carcere di Ferrara è la prima condanna di un funzionario pubblico per il delitto di tortura, introdotto nel codice penale italiano nel 2017. 

Non si gioisce mai per una condanna e non gioiamo neanche in questo caso, ma affermiamo comunque che la decisione di oggi ha un sapore storico. La tortura è un crimine orrendo, inaccettabile in un Paese democratico. La condanna, seppur in primo grado, mostra come la giustizia italiana sia rispettosa dei più indifesi. Si tratta di una sentenza che segnala come nessuno è superiore davanti alla legge. La legge vale per tutti, cittadini con o senza la divisa. E' questo un principio delle democrazie contemporanee. 

Fortunatamete ora esiste una legge che proibisce la tortura. In passato fatti del genere cadevano nell'oblio. E' importante che tutti gli agenti di Polizia penitenziaria si sentano protetti da una decisione del genere, che colpisce solo coloro che non rispettano la legge. 

Antigone ha a lungo combattuto per avere questa legge, con l'ultima campagna "Chiamiamola tortura" avevamo raccolto oltre 55.000 firme a sostegno di questa richiesta. Ora possiamo dirlo, la tortura in Italia esiste, purtroppo viene praticata, ma ora viene anche punita".  Queste le dichiarazioni di Patrizio Gonnella, presidente di Antigone.

Si chiude il 2020, un anno segnato dalla pandemia anche negli istituti di pena

Rivolte carceri"Il 2020 delle carceri italiane è stato inevitabilmente segnato dallo scoppio della pandemia di Covid-19, che ha cambiato il volto anche di questi luoghi, chiudendoli ancor di più al mondo esterno, allontanando dagli istituti volontari, famigliari, personale scolastico e lasciando ai detenuti un in più di pena rispetto a quella che stanno scontando e di cui, a pandemia finita, non si potrà che tenere conto". Esordisce così Patrizio Gonnella, nel consueto punto di fine anno di Antigone. Al 2020 il sistema penitenziario si era presentato con numeri in aumento per quanto riguarda i detenuti presenti. Quando a fine febbraio la pandemia è esplosa nel paese, nelle prigioni italiane le persone recluse erano oltre 61.000, a fronte di 50.000 posti regolamentari, anche se quelli disponibili erano e sono circa 3.000 in meno. Il tasso di affollamento ufficiale era superiore al 120%.

"L'impatto della pandemia ha generato paura e spaesamento nei reclusi. Ogni giorno su tv, radio, giornali, si chiedeva di mantenere il distanziamento sociale edi evitare assembramenti, due cose impossibili da fare nelle nostre carceri. Queste preoccupazioni e la chiusura dei colloqui, hanno portato poi a far esplodere gli animi e alle proteste che ad inizio marzo hanno interessato decine di istituti in tutto il paese", ricorda ancora Gonnella. Durante quelle proteste quattordici detenuti morirono nelle carceri di Modena e Rieti e alcuni episodi di presunte violenze si verificarono nei giorni successivi in altri istituti. In alcuni casi Antigone ha presentato degli esposti alle competenti Procure, cosa che da molti anni fa parte del lavoro di contezioso portato avanti dall'Associazione. Nell'arco di poche settimane il numero dei detenuti nelle carceri è diminuito in maniera importante (circa 8.000 unità in meno), merito soprattutto del lavoro della magistratura di sorveglianza, che ha utilizzato in maniera ampia tutti i propri poteri per permettere al maggior numero di detenuti di scontare l'ultima parte della pena alla detenzione domiciliare.

"Tuttavia, alla fine della prima ondata, anche queste politiche deflattive hanno subito un arresto e, nonostante ci fossero ancora 6.000 detenuti in più rispetto ai posti regolamentari, il loro numero nei mesi estivi, anche se in maniera contenuta, è addirittura ricominciato a crescere" sottolinea ancora il presidente di Antigone. "Così, allo scoppio della seconda ondata, le carceri erano ancora in una situazione di sovraffollamento e con una carenza di spazi che permettessero di prevenire il contagio". A fine novembre i detenuti e le detenute erano 54.638.

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Dalle prigioni del Kent diffusa la variante inglese del Covid. Mettere carceri e società in sicurezza. Fare posto e vaccinare detenuti e operatori

carcere-covid-Evitiamo le tragedie. Proteggiamo la comunità penitenziaria dal virus e dalla demagogia, e con essa tutta la società. Bisogna fare presto. Bisogna ridurre il sovraffollamento. Ci sono settemila persone in più rispetto ai posti disponibili nelle carceri, il distanziamento è impossibile e mancano celle singole. Siamo ancora in tempo per evitare ciò che è accaduto nel Kent, dove a partire dalle prigioni si è diffuso il virus mutato. 

Negli ultimi mesi la prigionia è stata doppiamente afflittiva a causa dell’isolamento dall’esterno: poche visite, poca o niente scuola, salvo alcune realtà virtuose. In carcere vi sono circa duemila positivi tra detenuti e operatori. Non si sa più come isolarli e tra un po’ mancheranno coloro che possono garantire la sicurezza e la socialità. Vanno evitati nuovi focolai negli istituti e va messa in Italia e in Europa la comunità penitenziaria tra quelle a cui somministrare con priorità il vaccino. I numeri lo consentono. Tra detenuti e operatori in Italia il sistema penitenziario conta circa 100 mila persone, 800 mila in nell'area Ue. 

Chiediamo al Governo di stare a sentire chi, come la senatrice a vita Liliana Segre, ha chiesto che nei confronti dei detenuti siano assunte misure di prevenzione eccezionali. Vanno assicurati dispositivi di protezione individuale, previste informazioni in tutte le lingue, effettuati tamponi, realizzate condizioni igienico-sanitarie adeguate, somministrata la giusta terapia. Ogni minuto perso è un minuto in più di pena afflittiva, dolorosa, inutilmente sofferente. Detenuti e operatori penitenziari devono essere vaccinati il più presto possibile, già a gennaio.

Preserviamo una cultura costituzionale della pena. No agli educatori poliziotti.

carcere corridoioLa Commissione giustizia del Senato sta esaminando una proposta di legge, la n. 1754, che prevede trasformazione degli educatori in agenti di polizia penitenziaria. E' una vecchia idea dietro cui traspare una concezione della pena di tipo meramente contenitivo, all'opposto di quanto previsto dalla Costituzione. La riforma dell'ordinamento penitenziario del 1975 prevedeva un modello dalle figure diversificate, in cui non tutti fossero incardinati nelle logiche gerarchiche e custodiali di Polizia. Prevedeva una divisione dei ruoli per aree di competenza, oltre a posizioni paritarie tra le diverse professioni. Si è trattato di una promessa in parte mancata, anche a causa delle pressioni esercitate dal comparto sicurezza. Educatori e direttori, da allora, sono stati sotto-considerati dal punto di vista sociale, culturale ed economico. Per questo sono giuste le rivendicazioni economiche della proposta, che, sia pur senza internizzare gli educatori nel corpo di Polizia, vanno prese in considerazione. Va assicurata una piena equiparazione del trattamento economico tra il personale in divisa e quello civile. Il mestiere di educatore è usurante, presenta un alto rischio di burn-out e va maggiormente riconosciuto. Lo scarto rispetto agli agenti è inaccettabile. Non è però regredendo verso modelli puramente custodiali che si provvede a questi bisogni.

A questo link la nota che, sulla questione, abbiamo inviato alla Commissione giustizia del Senato e al Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria.

Non serve costruire nuove carceri

carcere san vittore celladi Patrizio Gonnella su il manifesto del 3 dicembre 2020

Chiunque abbia a cuore la legalità costituzionale dovrebbe chiedere a gran voce che le carceri non si riempiano oltre la capienza regolamentare, a prescindere dall'emergenza sanitaria in corso. Ovviamente i rischi di diffusione del Covid, con il tasso di imprevedibilità che tale malattia porta con sé, rendono ancora più stringente l'esigenza di ridurre i numeri globali. Nessuno può negare che la parola pena sia sinonimo di sofferenza, ma da almeno la fine del diciottesimo secolo si afferma che il fine delle pene non debba essere tormento o afflizione. 

È inaccettabile assegnare alla pena uno scopo che non si quello descritto nella Costituzione che, ci piaccia o meno, non parla di punizione, vendetta, neutralizzazione sociale. Chiunque, compreso Marco Travaglio, abbia un'idea di pena che sia mero contenimento o pura afflizione è distonico rispetto alla legalità costituzionale che non lascia spazio a oramai superate dottrine retributivistiche, che avevano nel Guardasigilli degli anni 30 Alfredo Rocco uno dei più qualificati sostenitori. Da allora è passato quasi un secolo e non riusciamo a liberarci dalle sue idee e dal suo Codice, stracolmo di eccessi punitivi. 

Dunque, se la pena non deve essere tormento o afflizione, è inaccettabile che i detenuti siano stipati in istituti dove manchi lo spazio vitale. Al momento in Italia vi sono 53.489 detenuti. La capienza regolamentare è pari a 50.570 posti. Così come si legge nelle statistiche ufficiali pubblicate dal ministero della Giustizia "il dato sulla capienza non tiene conto di eventuali situazioni transitorie che comportano scostamenti temporanei dal valore indicato". 

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Costruire sicurezza, non carceri. Le proposte di Antigone per il Recovery Fund

recovery fund instafeedDal Recovery Fund dovrebbero arrivare all'Italia oltre 200 miliardi di euro. Una parte andranno alla Giustizia e al sistema penitenziario. Stando ad alcune anticipazioni della stampa si parlerebbe di circa 600 milioni di euro che vorrebbero essere utilizzati, in buona parte, per costruire nuove strutture detentive. A questa logica opponiamo le nostre ragioni e lo facciamo attraverso un documento che abbiamo inviato a governo e parlamentari.

Questa legata ai fondi europei è un'occasione da non sprecare, per questo non ci si può affidare alla solita, vecchia, ricetta basata su piani di edilizia penitenziaria. Non è costruendo carceri che si innova un sistema che invece ha bisogno di modernizzazione, creatività e investimenti nel campo delle risorse umane. Ogni detenuto costa circa 130 euro al giorno. In confronto, le misure alternative costano meno di un decimo e hanno un ben più significativo impatto nella lotta alla recidiva e negli obiettivi di recupero sociale dei condannati. E' su quelle che bisogna investire.

Bisogna investire nella ristrutturazione delle carceri esistenti. E’ questo il momento per cablare gli istituti, per potenziare le infrastrutture tecnologiche, per prevedere ipotesi aggiuntive di didattica a distanza, per assicurare la formazione professionale anche da remoto, per consentire ancor più incontri con il mondo del volontariato, per aumentare le possibilità di video-colloqui con familiari e persone care che si aggiungano ai colloqui visivi.

Bisogna investire di più nel capitale umano, assumendo più personale civile - direttori, educatori, mediatori, psicologi - ed equiparando il loro trattamento economico a quello di chi porta la divisa, fermo restando che anche per questi ultimi è importante prevedere una gratificazione economica.

Usiamo i fondi del Recovery per un nuovo sistema penitenziario e non per nuovi penitenziari.

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Carcere San Gimignano. Agenti penitenziari rinviati a giudizio per tortura. Medico condannato per rifiuto di atti d'ufficio

Poggioreale26-11-2020 - Si è conclusa oggi, presso il Tribunale di Siena, l'udienza preliminare per le violenze verso un detenuto che sarebbero avvenute nel carcere di San Gimignano nell'ottobre 2018. 5 agenti penitenziari sono stati rinviati a giudizio. Tra le accuse di cui dovranno rispondere c'è anche quella di tortura. Durante la stessa udienza un medico del carcere, che aveva scelto il rito abbreviato, è stato condannato a 4 mesi di reclusione per rifiuto di atti d'ufficio, per non aver visitato e refertato la vittima. 

"Nell'ottobre del 2019 Antigone - ricorda l'avvocato Simona Filippi, che segue questi casi per conto dell'associazione - aveva ricevuto notizia di una indagine in corso presso la Procura del Tribunale di Siena per violenze da parte di quindici agenti di polizia penitenziaria della Casa di reclusione di San Gimignano nei cui confronti, in data 28.08.2019, veniva emessa ordinanza di misura cautelare. A dicembre 2019 presentammo un esposto nel quale chiedevamo che si configurasse il reato di tortura a carico degli agenti". 

Lo scorso 10 settembre Antigone aveva avanzato la richiesta di costituzione di parte civile, poi accolta dal giudice mentre, nella stessa udienza, il medico imputato chiese di essere giudicato con il rito abbreviato. Oggi si è arrivati al rinvio a giudizio per cinque poliziotti penitenziari e alla condanna del medico. "E' la prima volta - sottolinea ancora l'avvocato Filippi - che un medico viene condannato per essersi rifiutato di refertare un detenuto che denunciava di aver subito violenze. Speriamo che questo precedente aiuti a scardinare quel muro di complicità che a volte rischia di crearsi in casi simili". 

"Il rinvio a giudizio per tortura è una notizia che speriamo dia ristoro alle vittime - dichiara Patrizio Gonnella, presidente di Antigone. La tortura è un crimine che va indagato con decisione, così come è stato fatto. La tortura, purtroppo, esiste ma fortunatamente ora esiste anche una legge che la punisce. Infine, un invito al ministero della Giustizia e al Governo tutto: si costituisca parte civile. Così garantiremo maggiormente quella enorme fetta di operatori che si muovono nel solco della legalità".

Carceri: proposte per affrontare l'emergenza, per la salute, la dignità, contro l'isolamento

8197402220 564af88270 oAnche il carcere sta subendo le conseguenze della seconda ondata della pandemia di Covid-19, con numeri peraltro più ampi rispetto a quanto non sia avvenuto nei mesi di marzo e aprile. Il numero dei detenuti e degli operatori positivi sta raggiungendo le 1.000 unità per ciascuna di queste categorie, con ritmi di crescita che destano preoccupazione. In circa il 40% degli istituti del paese c'è stato almeno un caso di positività tra le persone recluse e, in alcuni casi, abbiamo assistito a veri e propri focolai. Nonostante questa situazione, il tasso di affollamento è ancora preoccupante. Ci sono circa 7.000 detenuti in più rispetto ai posti letto disponibili. Se si considera poi che alcune sezioni sono state liberate per essere destinate a diventare spazi per accogliere i contagiati, la situazione può essere considerata ancora più difficile rispetto a quanto non ci dicano questi numeri. 

Per questo c'è bisogno di misure drastiche e urgenti. E sono quelle che hanno chiesto Antigone, Anpi, Arci, Cgil, Gruppo Abele, in una lettera indirizzata al governo e ai parlamentari della commissione giustizia di Camera e Senato, a cui hanno aderito anche Amnesty International-Italia, Acat, Ristretti, Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia-CNVG, CSD - Diaconia Valdese, Uisp Bergamo, InOltre Alternativa Progressista. 

Le misure proposte sono volte innanzitutto a ridurre in maniera incisiva la popolazione detenuta e a mettere in sicurezza le persone sanitariamente a rischio, ma anche a rendere non rischiosa e piena di senso la vita in carcere.

Leggi la lettera con le nostre proposte

Nel sovraffollamento corrono i contagi. Come fermarli

carcereinsideDetenzione. Come esistono i negazionisti del Covid, così esistono i negazionisti dell’afflittività e patogenicità del carcere. Con pragmatismo e senso di umanità bisognerebbe, in tempi strettissimi, evitare che le carceri arrivino a produrre lo stesso numero di morti e disastri già visti nelle Rsa.

di Patrizio Gonnella su il manifesto del 20 novembre 2020

Se c’è un luogo in conflitto ontologico con il Covid, esso è il carcere. A chiunque affermi che sia il posto più sicuro del mondo rispetto al rischio di contrarre il virus, suggerirei una passeggiata per le sezioni del carcere di Brescia, che ha il doppio dei detenuti rispetto alla capienza regolamentare. O per i corridoi dell’istituto di Latina, che stipa 151 detenuti nei soli 77 posti previsti. O ancora a Taranto, che nei 304 posti letto regolamentari rinchiude 552 persone. O a Poggioreale, a Napoli, dove 2.177 detenuti devono dividersi i 1.571 posti disponibili, con celle che ospitano fino a 12 detenuti, talvolta prive di doccia, con letti a castello anche su tre livelli, e in qualche caso con wc vicino a dove si dorme. 

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11° Rapporto CRC - I diritti dell'infanzia e dell'adolescenza in Italia

11 rapporto crcIl Gruppo di Lavoro per la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza (Gruppo CRC) - di cui anche la nostra associazione fa parte - celebra il suo ventennale e pubblica l’11° Rapporto CRC in occasione della giornata internazionale dell’infanzia e dell’adolescenza, in un momento in cui è in corso la seconda ondata pandemica che sta portando tutte le regioni italiane verso nuove restrizioni.   

L’11° Rapporto CRC non ci consegna solo una retrospettiva di questi due decenni rispetto ai passi avanti che sono stati fatti e sui ritardi che ancora permangono, ma allarga quindi lo sguardo sull’impatto della pandemia in corso che ha portato alla luce, aggravandole e dilatandole, le criticità monitorate nel corso degli anni. Nelle raccomandazioni rivolte alle istituzioni competenti si esplicita invece l’auspicio che da questa crisi si possa ripartire con una consapevolezza ritrovata rispetto alla centralità e necessità di investire sui ragazzi e ragazze.

Tra i vari contributi, anche il nostro sul tema dei minori in stato di detenzione.

Qui puoi scaricare e leggere il rapporto completo.

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