SENTENZA CORTE COSTITUZIONALE n. 301 del 2012

SENTENZA CORTE COSTITUZIONALE N. 301/2012. Il diritto all'affettività e alla sessualità in carcere. Commento di Paola Bevere.
La Corte costituzionale con la sentenza n. 301 del 19 dicembre 2012, ha avuto modo di esprimersi sul tema dei colloqui collegato all’affettività e alla sessualità in carcere, dichiarando però inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Magistrato di sorveglianza di Firenze.
In particolare la questione riguarda la conformità ai principi costituzionali dell'art. 18, comma 2, dell'ordinamento penitenziario (“I colloqui si svolgono in appositi locali sotto il controllo a vista e non auditivo del personale di custodia”). In primo luogo, secondo il rimettente, la norma censurata violerebbe le disposizioni dell'art. 2 Cost. nella parte in cui afferma “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo”, dell'art. 3 Cost. ove dichiara l'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e ove afferma che “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli ...che... impediscono il pieno sviluppo della persona umana” e dell'art. 27, comma 3 Cost., che afferma “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità”; in secondo luogo dell'art. 27, comma 3, nella parte in cui prevede che “le pene...devono tendere alla rieducazione del condannato”; in terzo luogo dell'art. 29 Cost. laddove afferma “la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”, nonché dell'art. 31 Cost. nella parte in cui dichiara “protegge la maternità...favorendo gli istituti necessari a tale scopo”.
L’art. 18, secondo comma, della legge n. 354 del 1975 si porrebbe, da ultimo, in contrasto con l’art. 32 Cost., tanto in rapporto alla previsione del primo comma, in base alla quale “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”, quanto in relazione al disposto della seconda parte del secondo comma, per cui “la legge non può in alcun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Infatti, secondo il Magistrato di sorveglianza di Firenze, il ricorso alla masturbazione o a pratiche omosessuali, conseguente alla forzata “astinenza sessuale” con il “partner”, comporterebbe una “intensificazione dei rapporti a rischio e la contestuale riduzione delle difese sul piano della salute”.
Il principio che si ricava è sicuramente condivisibile, poiché, come è stato osservato dal rimettente, il diritto all'affettività a alla sessualità della persona detenuta, oltre a desumersi dalla nostra Costituzione, è attuato in molti Paesi europei ed extraeuropei. Il nostro ordinamento penitenziario individua nel rapporto con la famiglia uno degli elementi essenziali per il trattamento rieducativo (“Il trattamento del condannato e dell’internato è svolto...omissis...agevolando opportuni contatti con il mondo esterno ed i rapporti con la famiglia” art. 15 o.p.) e all’art.4 afferma che la detenzione non comporta una capitis deminutio della persona, “i detenuti e gli internati esercitano personalmente i diritti loro derivanti dalla presente legge anche se si trovano in stato di interdizione legale”; ma al contempo l’art. 1
comma 3 o.p. stabilisce che “Negli istituti devono essere mantenuti l’ordine e la disciplina”. Conseguentemente ci dovrebbe essere un bilanciamento tra le esigenze dell’affettività dei detenuti e della sicurezza del carcere, ma la vigente disciplina dei colloqui limita la prima in favore della seconda.
Il controllo a vista pone dei problemi di compatibilità con i nostri principi costituzionali, inoltre la consapevolezza di essere osservati durante gli incontri con la famiglia mortifica l’affettività. La stessa Corte costituzionale prende atto dell'inadeguatezza della normativa sul tema: “l’ordinanza di rimessione evoca, in effetti, una esigenza reale e fortemente avvertita, quale quella di permettere alle persone sottoposte a restrizione della libertà personale di continuare ad avere relazioni affettive intime, anche a carattere sessuale: esigenza che trova attualmente, nel nostro ordinamento, una risposta solo parziale nel già ricordato istituto dei permessi premio, previsto dall’art. 30‐ter della legge n. 354 del 1975, la cui fruizione – stanti i relativi presupposti, soggettivi ed oggettivi – resta in fatto preclusa a larga parte della popolazione carceraria”. Si tratta di un problema che merita ogni attenzione da parte del legislatore, anche alla luce dalle indicazioni provenienti dagli atti sovranazionali richiamati dal rimettente (peraltro non immediatamente vincolanti, come egli stesso ammette) e dell’esperienza comparatistica, che vede un numero sempre crescente di Stati riconoscere, in varie forme e con diversi limiti, il diritto dei detenuti ad una vita affettiva e sessuale intramuraria”.
In tal senso, l'indirizzo del Consiglio d'Europa è volto al prolungamento delle visite con il partner. In particolare, con la Raccomandazione n. 11/1/2006, richiamata dal Magistrato di Firenze, il Consiglio asserisce che “Le modalità delle visite devono permettere ai detenuti di mantenere e sviluppare relazioni familiari il più possibili normali” (regola 24 punto 4). Certamente il termine “normali” potrebbe destare dubbi interpretativi, ma il commento alla Raccomandazione, in calce alla stessa, ne illumina il significato: “L’articolo 8 della Convenzione Europea sui Diritti Umani riconosce il diritto di ogni individuo al rispetto della sua vita privata e familiare e della sua corrispondenza e la Regola 24 può esser letta come il conferimento alle autorità penitenziarie della responsabilità di garantire il rispetto di questi diritti nelle condizioni eminentemente restrittive dell’istituto penitenziario. La Regola riguarda anche le visite che costituiscono una forma di contatto particolarmente importante”, “La Regola 24.4 sottolinea la particolare importanza delle visite non solo per i detenuti, ma anche per le loro famiglie. Quando è possibile, devono essere autorizzate delle visite familiari di lunga durata (per esempio 72 ore come viene praticato in numerosi Paesi dell’Europa dell’Est). Queste visite prolungate permettono ai detenuti di avere relazioni intime con i loro partner. Le “visite coniugali” più brevi, autorizzate a tale fine, possono avere un effetto umiliante per entrambi i partner”.
Bisogna, però, sottolineare che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha escluso, con le sentenze Dickson contro Regno Unito del 4 dicembre 2007 e Aliev contro Ucraina del 29 luglio 2003, che la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali – e in
particolare, gli artt. 8, paragrafo 1, e 12 – prescrivano inderogabilmente agli Stati parte di permettere i rapporti sessuali all’interno del carcere, anche tra coppie coniugate. Tra l'altro in Italia la giurisprudenza ha spesso qualificato il carcere come luogo aperto al pubblico, pertanto ad oggi è configurabile il reato di atti osceni ex art. 527 c.p.. Sarebbe, quindi, necessaria una riforma strutturale degli istituti penitenziari nonché ovviamente della normativa che li disciplina.
La Corte di cassazione con la sentenza n. 7791/2008 ha affrontato il tema del bilanciamento delle esigenze suddette, riconoscendo il diritto, per un detenuto in regime di 41 bis, al prelievo di liquido seminale al fine di consentire alla moglie, sussistendone le condizioni di legge, di accedere alla procreazione medicalmente assistita. Il principio da applicare in simili fattispecie non può che essere quello di contemperare interesse personale e detenzione. Il giudizio relativo deve ispirarsi al criterio della proporzione tra le esigenze di sicurezza sociale e penitenziaria e l’interesse della singola persona. Da ciò consegue che il sacrificio imposto al singolo non deve eccedere quello minimo necessario e non deve ledere posizioni in assoluto non sacrificabili (BRUNETTI C., “Il diritto all’affettività per le persone recluse” Rassegna penitenziaria e criminologica 2008 Vol. 12. pag. 112).
Ad ogni modo, la questione di illegittimità costituzionale è stata dichiarata inammissibile dalla Consulta. In primo luogo perché, “il rimettente ha omesso di descrivere in modo adeguato la fattispecie concreta e, conseguentemente, di motivare sulla rilevanza della questione. Nell’ordinanza di rimessione, il giudice a quo si limita, infatti, a riferire di essere chiamato a pronunciarsi sul «reclamo» di un detenuto, senza precisarne affatto la natura e il contenuto e, quindi, senza indicare la ragione per la quale occorrerebbe fare applicazione della norma censurata nel caso di specie”. Pertanto non vi è stata la dovuta specificità riguardo il requisito della rilevanza nel caso concreto, per dimostrare che il giudizio non poteva “essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale” (art. 23 della L. 11 marzo 1953, n. 87 ).
In secondo luogo, il Giudice delle leggi ritiene “evidente come un intervento puramente e semplicemente ablativo della previsione del controllo visivo sui colloqui – quale quello in apparenza richiesto dal giudice a quo, alla luce della formulazione letterale del petitum – si rivelerebbe, per un verso, eccedente lo scopo perseguito e, per altro verso, insufficiente a realizzarlo. Il controllo a vista del personale di custodia non mira, in effetti, ad impedire in modo specifico ed esclusivo i rapporti affettivi intimi tra il recluso e il suo «partner», ma persegue finalità generali di tutela dell’ordine e della sicurezza all’interno degli istituti penitenziari e di prevenzione dei reati. L’ostacolo all’esplicazione del «diritto alla sessualità» ne costituisce solo una delle conseguenze indirette, stante la naturale esigenza di intimità connessa ai rapporti in questione. L’asserita necessità costituzionale di rimuovere tale conseguenza non giustificherebbe, dunque, la caduta di ogni forma di sorveglianza sulla generalità dei colloqui. Al tempo stesso, l’eliminazione del controllo visivo non basterebbe
comunque, di per sé, a realizzare l’obiettivo perseguito, dovendo necessariamente accedere ad una disciplina che stabilisca termini e modalità di esplicazione del diritto di cui si discute: in particolare, occorrerebbe individuare i relativi destinatari, interni ed esterni, definire i presupposti comportamentali per la concessione delle “visite intime”, fissare il loro numero e la loro durata, determinare le misure organizzative. Tutte operazioni che implicano, all’evidenza, scelte discrezionali, di esclusiva spettanza del legislatore: e ciò, anche a fronte della ineludibile necessità di bilanciare il diritto evocato con esigenze contrapposte, in particolare con quelle legate all’ordine e alla sicurezza nelle carceri e, amplius, all’ordine e alla sicurezza pubblica”. La Corte costituzionale invita il legislatore a disciplinare la materia in maniera organica. Indubbiamente “la caduta di ogni forma di sorveglianza sulla generalità dei colloqui” avrebbe comportato dei rischi di applicazione, ma sarebbe stato opportuno precisare che un sistema discrezionale bilancerebbe in modo ragionevole le contrapposte esigenze (la sicurezza nelle carceri e il diritto all’affettività), in modo tale da poter verificare nel caso concreto - eventualmente in relazione alla pericolosità o al tipo di reato - la necessità o meno del controllo a vista.
Infine, la Consulta osserva come neanche una sentenza additiva “di principio” - con la quale si afferma l’esigenza costituzionale di riconoscere il diritto, demandando al legislatore il compito di definire modi e limiti della sua esplicazione – risolverebbe la questione, perché tale via condurrebbe a una violazione dei parametri costituzionali evocati dallo stesso rimettente, in particolare dell'art. 3 Cost., poiché “il “diritto alla sessualità” intra moenia dovrebbe essere, infatti, riconosciuto ai soli detenuti coniugati o che intrattengono rapporti di convivenza stabile more uxorio, escludendo gli altri (si pensi, ad esempio, a chi, all'atto dell'ingresso in carcere, abbia una relazione affettiva consolidata, ma non ancora accompagnata dalla convivenza, o da una convivenza stabile)”.
Rimane il fatto che la Costituzione italiana afferma che il detenuto, tramite la pena, deve essere rieducato e ri-socializzato, ma ciò diventa assai difficile se lo si priva della possibilità di vivere le relazioni affettive, ancor prima di quelle sessuali, che fanno parte della sua identità. I colloqui e i permessi premio non bastano per mantenere vivo e concreto un rapporto affettivo (BRUNETTI C. op. cit. pag. 116). Pertanto si può solo sperare in un futuro intervento legislativo.
Si ricorda brevemente che in più legislature si è affrontato il problema della riforma dell’ordinamento penitenziario, relativamente alla possibilità di introdurre nel nostro ordinamento una disciplina dei colloqui tale da consentire l'intimità tra i partner. La prima proposta di legge in materia, presentata il 13 giugno 1996 fu d'iniziativa del deputato Folena. Essa mirava a rivedere e modificare i normali rapporti affettivi del detenuto. La seconda proposta di legge è stata presentata il 28 febbraio 1997 dal parlamentare Giuliano Pisapia, composta da quattro articoli, pressappoco gli stessi della precedente; all’art. 1 prevedeva: “Al fine di mantenere o migliorare il rapporto con le persone con le quali vi è un legame affettivo, i
detenuti e gli internati hanno diritto a una visita al mese di durata non inferiore alle tre ore consecutive con il proprio coniuge o convivente senza alcun controllo visivo. Negli edifici penitenziari devono essere realizzati locali idonei a consentire al detenuto di intrattenere relazioni personali ed affettive”. Lo stesso anno ci fu una circolare di Michele Coiro, Capo del DAP, con la quale chiedeva ai direttori di pronunciarsi sulla possibilità di umanizzare in tal senso le case di reclusione.
L'ultima proposta di legge risale al 12 luglio 2002 (Camera dei deputati, Proposta di legge n. 3020), ma anche quest’ultima iniziativa, Boato-Ruggeri, non ha avuto modo di divenire legge. Nonostante la questione di costituzionalità in commento sia stata dichiarata inammissibile, bisogna riconoscere il merito al Magistrato di sorveglianza di Firenze di aver posto all'attenzione dell'opinione pubblica un tema da ri-disciplinare, rimaniamo quindi in attesa di una nuova proposta di legge.

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