È l’altra faccia del carcere: quello "delle dimenticate dietro le sbarre". Ovvero le prigioni delle donne dove "si va avanti con pochi soldi e senza progetti di reinserimento". Un piccolo mondo nella galassia carceraria in cui non mancano problemi e sofferenze. I numeri elaborati dall’associazione Antigone poi parlano chiaro.
Sono 1780 le detenute che, distribuite tra 5 carceri femminili e 59 sezioni scontano la pena dietro le sbarre.
Il 40% di loro sono immigrate e scontano condanne per reati contro il patrimonio oppure per aver violato la legge sull’immigrazione. Una situazione drammatica che non è migliorata, a sentire i volontari che si occupano di carceri, neppure dopo l’entrata in vigore dell’indulto quando le donne erano 2578, pari cioè al 4,6% della popolazione detenuta in tutta Italia. "Nonostante l’esodo di ottocento detenute, spiega Laura Astarita, volontaria di Antigone la situazione generale non è cambiata e il problema non è stato risolto". Motivo? "C’è stato un taglio delle risorse del 30 per cento che si ripercuote sull’intero sistema".
Che tradotto vuol dire: meno detenuti, meno soldi e quindi minori iniziative per chi resta dentro. "A causa di una presenza così bassa, le donne in carcere sono una questione lontana, marginale nel marginale mondo del carcere. Non solo: per paradosso, soffrono dei mali cronici del sistema carcerario in maniera ancora più acuta. Sistema carcerario fatto dagli uomini, costruito sui bisogni e le caratteristiche del detenuto medio, maschio".
Un male che, a sentire la volontaria di Antigone che proprio su questo argomento ha realizzato il dossier "le dimenticate", accomuna l’Italia anche ad altri centri d’Europa dove la percentuale delle donne detenute passa dal 4,8% della Germania 4,8%, all’8% della Spagna 8%, al 6% dell’Ungheria 6%, Inghilterra e Galles, al 4% della Francia.
"Molti dei problemi che le donne, a differenza degli uomini, si trovano ad affrontare all’uscita dal carcere sono dovuti alla forte stigmatizzazione alla quale la società le sottopone aggiunge -. Si vuole una donna che risponda al ruolo storico che la tradizione le ha dato e che ancora nessuno le ha in fondo tolto del tutto: non si vuole reintegrare in un contesto sociale un’autrice abituale di piccoli furti, spesso tossicodipendente, magari prostituta e immigrata clandestina, o madre single poco capace di badare ai figli avuti in età troppo giovane.
Sì, perché è questo l’identikit della detenuta media in Europa". Per evitare poi che il carcere si trasformi in "un circolo vizioso di esclusione sociale", Laura Astarita aggiunge che "diventa essenziale promuovere un differente approccio alla considerazione del trattamento delle donne in carcere, promuovendo l’introduzione di un percorso di formazione specifico per il personale che opera nell’ambito della detenzione femminile".
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