Trento: "residenze assistite" per stranieri non accompagnati
"Residenze assistite" decentrate sul territorio per i minori stranieri non accompagnati: un modello alternativo di accoglienza pensato dalla provincia di Trento che lo scorso anno ha accolto, in carico ai servizi sociali, 111 ragazzi, quasi tutti nella città di Trento. Sono perlopiù adolescenti che arrivano, illegalmente e soli, dall’Albania, dal Marocco e dall’Europa dell’Est. Vivono per strada, dove rischiano di scivolare nella devianza e di rimanere vittime della criminalità; non vanno a scuola e non accedono ai servizi sanitari e sociali (anche se le norme nazionali e internazionali garantiscono loro il diritto alla protezione e tutela, all’istruzione, alla salute) e quando raggiungono i 18 anni possono ottenere un permesso di soggiorno solo se dimostrano di avere una casa dove abitare e un contratto di lavoro, o se frequentano un corso di studio, e se hanno partecipato per almeno due anni ad un "progetto di integrazione sociale e civile", e sempre che nel frattempo abbiano ricevuto dal Comitato minori stranieri un provvedimento di "non luogo a procedere al rimpatrio". Altrimenti diventano maggiorenni clandestini.
Il modello nuovo modello di intervento è stato approvato venerdì scorso dalla Giunta provinciale su proposta dell’assessore Marta Dal Maso e prevede la permanenza a Trento del servizio di pronta accoglienza presso il già esistente centro per minori a Roncafort e un certo numero di gruppi appartamento, destinati a quei ragazzi che non ce la fanno a vivere in relativa autonomia.
La residenza assistita è "una struttura intermedia" - spiega nella delibera l’assessore alle politiche sociali Dalmaso - "capace di rivalutare pienamente la funzione dei domicili autonomi attraverso un percorso di progressiva autonomia in grado di superare il complesso e a volte critico passaggio del ragazzo tra il gruppo appartamento e il domicilio autonomo, in modo da non vanificare la prima esperienza e valorizzare la seconda. Un modello che costituisce una innovazione nell’ambito della rete di servizi oggi esistenti, che tende ad accrescere l’efficacia dell’intervento in questo specifico target di utenza, l’efficienza gestionale e la vivibilità territoriale".
Anche nella provincia di Trento, come in altre realtà italiane, alcuni ragazzi stranieri diventati maggiorenni sono ricorsi al Tar contro i provvedimenti di diniego alla richiesta di rinnovo di permesso di soggiorno, un ricorso che comporta tempi lunghi, con la conseguenza che questi giovani rimangono in carico, in una situazione di attesa, ai servizi sociali. Da qui - spiega l’amministrazione - nasce la quota d’ingresso per la permanenza dopo la maggiore età di 14 minori stranieri non accompagnati riservata alla nostra provincia. Il percorso di accompagnamento all’acquisizione di una crescente autonomia non si ferma sulla soglia del "gruppo appartamento": "per questi ragazzi - spiega - è necessario pensare a un sostegno orientato al lavoro, allo studio, alla cura di se stessi e del proprio alloggio, alla ricerca di una casa, all’apprendimento della lingua italiana, all’integrazione con il territorio".
Percorsi che potranno essere attivati - in una logica di integrazione tra diversi attori, pubblici e privati (Provincia, enti gestori delle funzioni socio-assistenziali, enti del privato sociale) - con interventi individualizzati e strutturati per moduli, proprio all’interno delle Residenze Assistite. "L’obiettivo - si spiega al Servizio Politiche sociali - è quello di innovare il sistema dei servizi dedicati all’accoglienza dei minori non accompagnati, con un sistema di accoglienza in grado di ridurre i costi pur mantenendo o aumentando lo standard qualitativo del servizio offerto".
E questo per varie ragioni: necessità di alleggerire la pressione sulla città di Trento esercitata oggi da un numero considerevole di strutture per l’accoglienza dei minori; evitare una forte concentrazione di studenti stranieri nelle scuole professionali e dell’obbligo dei comuni di Trento e Rovereto, senza sfruttare le opportunità e i servizi dei molti Istituti professionali presenti nelle valli; sfruttare gli sbocchi occupazionali offerti dalla periferia; preservare i ragazzi da contesti poco educativi e, in qualche caso, potenzialmente devianti; minori costi delle strutture nelle zone periferiche.
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