Dossier
Migrazione dall'Africa, l'invasione che non c'è
Le cifre svelano l'ipocrisia europea: nessun esodo
Stefano Liberti
Giuseppe Pisanu lanciò l'allarme addirittura due anni fa. «Due milioni di africani sono pronti a sbarcare sulle nostre coste», disse nell'estate del 2004 l'allora ministro degli Interni in occasione dell'ormai consueta emergenza sbarchi a Lampedusa. L'affermazione - basata apparentemente su fonti di intelligence italiana - è poi caduta nel vuoto: la paventata invasione non è avvenuta; i due milioni di migranti in transito per la Jamahiriya in attesa di attraversare il canale di Sicilia non si sono mai visti sulle nostre coste. Ma intanto il sasso era lanciato. La nuova emergenza immigrazione indicava una direzione precisa: l'Africa sub-sahariana. L'imperativo diventava chiaro: controllare i flussi provenienti dalla sponda libica, bloccare gli arrivi. L'immigrazione dall'Africa veniva promossa a «problema prioritario», e non solo per il tragico bilancio di vittime nel canale di Sicilia o nell'Oceano Atlantico al largo dell'Africa occidentale, nel tentativo di raggiungere le isole Canarie spagnole.
Sull'onda della nuova emergenza, gli stati interessati si mobilitano. Le conferenze internazionali, come quella in corso in questi giorni a Tripoli e quella tenutasi nel luglio scorso a Rabat, si moltiplicano. Gli accordi bilaterali per il rimpatrio dei migranti diventano moneta corrente, imposti spesso a stati dotati di scarso potere negoziale. Vengono messe in piedi cooperazioni poliziesche; sono attivati programmi di controllo delle frontiere; vengono avanzate e si fanno strada proposte che fino a ieri erano tabù, come la creazione di campi di identificazione per i richiedenti asilo nel paesi appartenenti alla sponda sud del Mediterraneo.
Ma cosa c'è di reale nell'emergenza immigrazione? È davvero in atto una sorta di esodo biblico dal sud del Sahara verso le rive europee? Al di là dell'effetto mediatico suscitato dall'arrivo di barche sgangherate sulle coste europee, con la drammatica contabilità di naufragi, i numeri dicono esattamente il contrario. Le cifre di quest'anno - definite «record» - parlano di 28mila arrivi alle isole Canarie e di 16mila a Lampedusa da gennaio a oggi. Quando, nel 2005, il governo spagnolo ha realizzato una sanatoria di massa (peraltro molto criticata da Bruxelles), si è reso conto che i cittadini di paesi dell'Africa sub-sahariana erano i meno numerosi: costituivano appena il 3,9% dei richiedenti, a fronte del 25% rappresentato da equadoregni, del 17% da rumeni e dell'11,5% da marocchini. Simili cifre per la regolarizzazione attuata dal governo di centro-destra in Italia, nel 2002: secondo i dati forniti dallo stesso Viminale, i circa 700mila immigrati «sanati» in quell'occasione venivano principalmente dalla Romania (132mila), dall'Ucraina (100mila), dal Marocco (47mila) e dall'Equador (34mila).
La verità è che, come ammettono anche al ministero degli Interni, la stragrande maggioranza dei cosiddetti «clandestini» non sono entrati clandestinamente: appartengono alla variegata tribù degli «overstayers», persone entrate cioè regolarmente e rimaste poi illegalmente in territorio europeo. Come è noto, per i cittadini di alcuni paesi è più facile ottenere visti d'ingresso. Per altri, in particolare per quanti sono originari dell'Africa sub-sahariana, vedersi stampigliare un visto Schengen sul proprio passaporto presenta le stesse chance di una vincita alla lotteria.
Il fatto è che è vero che gli africani emigrano. Ma la maggioranza, come sottolinea lo studioso nigeriano Aderanti Adepoju, direttore di un centro di ricerca sulle migrazioni a Lagos, «si muove all'interno del continente», su rotte più praticabili e meno onerose di quelle che puntano all'Europa. Così - sottolinea ancora l'accademico nigeriano - «meno dell'1,5% degli africani sub-sahariani che vivono all'esterno del proprio paese si trovano all'interno dell'Unione europea».
Ciò nonostante, Bruxelles mobilita fondi e mezzi. Sulla scia dell'emergenza alle Canarie, l'agenzia Frontex per il controllo delle frontiere esterne dell'Ue, ha inviato navi da pattugliamento al largo delle coste atlantiche. L'Italia, dal canto suo, ha tra le altre cose lanciato nel quadro del Progetto Aeneas il programma «Across Sahara». Finanziato per 1,5 milioni di euro su due anni (80% dei quali provenienti dall'Ue, 20% dai fondi nazionali), prevede la formazione di pattugliamenti congiunti libico-nigerini nel contrasto all'immigrazione clandestina sulla vasta e desertica frontiera tra questi due paesi. L'Italia ha un ruolo di partner-formatore. Il progetto, cui partecipa anche l'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), fa scuola: gli altri stati europei guardano con attenzione all'esperimento, mentre lo stesso Viminale ha presentato alla Commissione europea un programma analogo per il controllo della frontiera libico-algerina.
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