“Fate tutti presto, presto”. Così Laura Lombardo Radice chiudeva la sua lettera aperta indirizzata al direttore generale degli istituti di pena, Nicolò Amato, dalle colonne de La Repubblica nel giorno di ferragosto di ventisette anni fa. “Il mio amico – e tanti altri come lui – non possono più aspettare, e anche la civiltà della democrazia non può più aspettare”. Neanche due mesi e in Gazzetta ufficiale sarebbe arrivata la legge che prese il nome di Mario Gozzini, quel caparbio senatore della Sinistra indipendente che volle riprendere l’accidentata strada della decarcerizzazione dopo gli anni dell’emergenza anti-terrorismo. Fecero presto, ma durò poco. Qualche anno e saremmo finiti nel precipizio da cui non riusciamo a uscire, di quel sovraffollamento carcerario che soffoca la dignità dei detenuti e del nostro Paese.
“Fate tutti presto, presto”, dovremmo tornare a dire con Laura, che a molti di noi, molti anni fa, insegnò l’utilità del volontariato in carcere, l’importanza di “lavorare con gli invisibili”, come si intitola la giornata che la Conferenza del volontariato della giustizia, Antigone, Arci solidarietà e Ora d’aria hanno voluto dedicarlenel centenario della nascita, sabato prossimo, il 21 settembre, alla Casa delle donne di Roma.
Laura conosce il carcere prima della guerra, quando il fratello Lucio e l’amico Aldo Natoli – giovani cospiratori antifascisti - vengono arrestati e portati a Regina coeli. Scopre così “quell’altra città” che si affollava in vicolo della Penitenza, nella consegna dei pacchi e delle lettere ai familiari incarcerati: “una folla multiforme, inquieta, spesso grama, che noi non avevamo mai visto nella sua molteplice composizione”. Uomini e donne semplici cui dedicherà il suo impegno politico e di insegnante nei quarant’anni seguenti, fin quando – accidentalmente – torna in carcere, nei primi anni Ottanta, per assistere a una rappresentazione dell’Antigone di Sofocle. Ne viene folgorata, ci trascina anche il compagno di una vita, il marito Pietro Ingrao. Inizia lì, per Laura ormai in pensione, l’impegno da insegnante volontaria a Rebibbia: “uno straordinario mezzo per scoprire se stessi”. “Si disilluda chi crede che insegnare in carcere sia una bellissima attività caritativa” – scriverà su Paese sera – “è invece una splendida, sofferta, attività di autoeducazione”.
“Fate tutti presto, presto”, torniamo a dire con Laura, sospesi sul baratro della prossimasanzione dell’indecoroso stato delle nostre prigioni: solo un anno di tempo ci ha dato la Corte europea dei diritti umani perché si ponga fine allo scandalo delle condizioni di vita cui costringiamo decine di migliaia di detenuti. A nulla sono valsi, finora, i ripetuti moniti del Presidente Napolitano e giustamente, da più parti, si invoca un provvedimento di amnistia-indulto che possa dare respiro alle nostre carceri e ai loro ospiti coatti. Molto ci aiuterebbero alcuni dei referendum radicali e le proposte di legge di iniziativa popolare avanzate dall’associazionismo. Tutte cose da fare e da fare presto. Ma non c’è riforma che possa cambiare durevolmente le cose se non c’è partecipazione e se non c’è condivisione, se quelli di fuori non scoprono “quell’altra città” che si affolla, oggi come allora, in vicolo della Penitenza. Ecco il senso di un incontro sul volontariato in carcere oggi, a (quasi) trent’anni dalla legge Gozzini e dalle speranze che essa animò in persone come Laura Lombardo Radice e in tanti operatori penitenziari, per nulla convinti che la giustizia debba necessariamente coincidere con l’inflizione di una sofferenza, che la pena non possa fare a meno del carcere, che il carcere debba sempre assomigliare a se stesso.
Stefano Anastasia
Ricercatore di filosofia e sociologia del diritto nell’Università di Perugia
Presidente onorario di Antigone
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