Patrizio Gonnella
Sulle pagine del ‘Manifesto’ giusto poche settimane fa avevamo lanciato l’allarme “sovraffollamento”. Dall’inizio dell’anno i detenuti crescono di mille unità al mese. Mai era accaduto nulla di simile nella storia penitenziaria italiana. Nelle galere ci sono oggi sedicimila persone in più rispetto ai posti letto regolamentari. Sino al 2007 al massimo i detenuti crescevano di mille e cinquecento unità l’anno. Eppure i tassi di delittuosità sono stabili dall’inizio degli anni novanta. Cosa è accaduto quindi in questi mesi affinché i tassi di detenzione schizzassero verso l’alto? Sostanzialmente tre fatti, di cui due di natura legislativa e uno di natura politico-culturale.
1) Il primo fatto ha due nomi: Bossi e Fini e la loro sciagurata legge sull’immigrazione. Sciagurata per i suoi effetti diretti e per quelli indiretti. Tra quelli diretti vanno annoverati i 1873 stranieri in carcere per irregolarità nell’ingresso o nella permanenza in Italia. Tra gli indiretti vi è l’illegalità forzata in cui versano centinaia di migliaia di persone in attesa di una regolarizzazione che non arriva mai.
2) Il secondo fatto o meglio la seconda responsabile è la legge ex Cirielli sulla recidiva, approvata nel dicembre del 2005 dal precedente governo Berlusconi. Essa prevedeva aumenti di pena e riduzioni di benefici per i recidivi. Anestetizzata dall’indulto ora inizia a produrre i suoi effetti devastanti in termini di affollamento penitenziario.
3) Il terzo fatto è il più grave di tutti, perché ha minato le basi della convivenza in Italia. Dai lavavetri fiorentini in poi ha dilagato la follia securitaria. È stata augurata o minacciata galera più o meno a tutto il sotto-proletariato urbano autoctono o di origine immigrata. Sono state proposte modifiche a leggi in vigore nel segno della repressione e della certezza della pena. Come se repressione e certezza della pena fossero la stessa cosa. Immigrati, rom, prostitute e poveri sono diventati i nuovi nemici di classe. Di questo clima hanno risentito le forze dell’ordine e la magistratura nella selezione dei reati da perseguire e nella durezza della risposta repressiva.
Il cosiddetto pacchetto Alfano per decongestionare le carceri, pur segnalando la preoccupazione governativa per il sovraffollamento, è inefficace. Per ridurre il numero di detenuti in modo strutturale c’è bisogno di toccare le radici del sovraffollamento, ossia l’odierno impazzimento pan-penalistico. Sino a quando non si metterà mano a una nuova legge liberale sulle droghe, sino a quando non si tratterà con dolcezza il tema dell’immigrazione, sino a quando non si ridurranno crimini e pene, sino a quando le misure alternative non si trasformeranno in pene alternative le prigioni continueranno a essere il luogo simbolo della selettività giudiziaria di stampo classista. Purtroppo nella storia dei paesi occidentali i braccialetti elettronici hanno funzionato non come strumento deflazionistico ma quale forma di controllo aggiuntiva.
Di fronte a questa ondata di ingressi in carcere la destra (quella vera) propone un piano straordinario pubblico e privato di edilizia penitenziaria. Alla sinistra (quella vera) chiediamo di tenere alto il lume della ragione e non trattare più Cesare Beccaria come un sociologo da strapazzo (vedi il dialogo tra Massimo Giannini e Giuliano Amato su Repubblica del 5 settembre del 2007).
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