A Lucca la coltivazione domestica di marijuana non è un reato. E nel resto d'Italia?, Liberazione 16/1/08


di G.Santoro, Associazione Antigone 

Il Tribunale di Lucca nei mesi scorsi ha dichiarato ‘il non luogo a procedere’ perché ‘il fatto non è previsto dalla legge come reato’ nei confronti di un imputato che deteneva  25 piantine di marijuana. Nelle motivazioni il Giudice riprende quanto affermato dalla VI sezione della Corte di Cassazione che, con la sentenza del 10 maggio scorso, ha annullato la decisione della Corte di Appello di Roma (confermativa di quella del Tribunale locale) la quale aveva condannato un giovane per aver coltivato nel proprio fondo cinque piante di marijuana. Una  linea interpretativa che era stata inaugurata sempre dalla VI sezione della Suprema Corte nel 1994, quando si ebbe a distinguere la coltivazione in senso tecnico, un procedimento che presuppone la disponibilità di un terreno e di una serie di attività (ad es., preparazione del terreno, semina, governo dello sviluppo delle piante, ubicazione di locali destinati alla custodia del prodotto), dalla detenzione per uso personale. Dunque, hanno precisato gli Ermellini, la decisione del 1994 ebbe il merito "di tracciare un margine ineludibile tra detenzione e coltivazione in senso tecnico, non potendo ricomprendersi in tale ultima nozione, giuridicamente definita, la cosiddetta coltivazione domestica”. Allo stesso modo il Giudice di Lucca distingue l’illecito penale della “attività di coltivazione in senso tecnico”, cioè quella che si appresti ad una produzione per il mercato, dall’illecito amministrativo della “coltivazione domestica”, quella di modeste dimensioni quantitative che non è giuridicamente ricompresa nel concetto di coltivazione in senso tecnico, inquadrabile piuttosto “nella nozione di detenzione interpretata estensivamente”. A supporto della tesi dell’uso domestico, spiegano gli avvocati difensori Mario Angelelli, Arturo Salerni e Luca Santini, vi era la circostanza che nell’abitazione dell’interessato, oltre le 25 piantine, erano stati rinvenuti pochi grammi di sostanza stupefacente e che, la stessa, non era destinata a terzi in quanto non si presentava  confezionata o ripartita in dosi, né tanto meno erano stati rinvenuti strumenti idonei alla coltivazione intensiva.

Di segno opposto la tesi prospettata dalla IV sezione penale della Cassazione secondo la quale è da perseguire penalmente la coltivazione anche di una sola piantina di marijuana, indipendentemente dalle sue caratteristiche droganti. Urge dunque un intervento delle Sezioni Unite per evitare prassi difformi non solo tra i diversi tribunali competenti di primo e secondo grado ma anche a seconda del fatto che l’eventuale giudizio di Cassazione venga affidato alla IV o VI sezione. D’altra parte le Sezioni Unite hanno già avuto modo, sempre nel 2007, di sposare la tesi della VI sezione in merito all’irrilevanza penale della coltivazione domestica, ma il caso di specie riguardava l’uso ornamentale di piantine di marijuana. Ma oltre ad auspicare l’intervento della Sezioni Unite è ormai giunta l’ora di passare dalle promesse ai fatti: Governo e Parlamento devono abrogare la Fini-Giovanardi e superare l’approccio proibizionista della Turco-Napolitano. Non solo per non deludere gli elettori ma anche perché non è plausibile che le forze di polizia arrestino consumatori di droghe leggere piuttosto che i narcotrafficanti, chi immette sul mercato sostanze che, come sta accadendo a Roma e in altre città, mietono morti per eroina tagliata in modo letale per gli assuntori. Vieppiù, con la equiparazione delle droghe leggere alle pesanti, gli spacciatori hanno un tangibile interesse ad immettere sul mercato, a parità di rischi, le sostanze stupefacenti più redditizie: non è forse un caso il boom della cocaina anche tra giovanissimi.

 

 

 

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