Mauro Palma (presidente onorario di Antigone)
Stefano Anastasia (presidente onorario di Antigone)
Patrizio Gonnella (presidente di Antigone)
Nel muovere queste nostre considerazioni, che capitano all’indomani della scelta del presidente Nicolas Sarkozy di ritirare il provvedimento di estradizione nei confronti di Marina Petrella, crediamo che innanzitutto vada sgomberato il campo da una lettura che vuole il provvedimento francese quale un segno di totale sfiducia rispetto alle istituzioni italiane. Piuttosto, si tratta di un provvedimento che tende a riconoscere che una persona - che pure sconta una pena per delitti gravi, ma che si è inserita positivamente nel territorio francese - ha diritto a essere protetta e tutelata dalla Francia, anche rispetto alla sua difficile situazione sanitaria. Non vi è dubbio che il tornare in Italia avrebbe aggiunto sofferenza alla sofferenza, complicando un quadro psicologico già grave ma anche un quadro organico altrettanto grave, dovuto quest’ultimo allo stesso problema psicologico. La malattia di Marina Petrella, infatti, è organica proprio in quanto psicologica, e non è dunque comparabile con altre pur gravissime infermità per le quali l’intervento sanitario in territorio francese o italiano sarebbe equivalente.
Ciò detto, la questione dell’estradizione di Marina Petrella - e in special modo dei commenti letti sulla stampa italiana all’indomani della decisione del presidente francese di ritirare il provvedimento - apre due questioni più generali, la prima sul significato della pena e la seconda sulla capacità dell’Italia nel suo complesso di chiudere effettivamente una pagina dolorosa della propria storia passata.
Per quanto riguarda il primo aspetto, ci si chiede quale funzione rieducativa, così come è richiesto dalla nostra Costituzione, possa avere una pena detentiva nei confronti di una persona che già per molti anni ha dato prova di aver chiuso con un certo proprio passato e di essersi positivamente reinserita nella società, pur nelle condizioni di lontananza dal proprio ambiente che, sebbene non comparabili con le condizioni detentive, sono anch’esse assai difficili e dolorose.
Circa la seconda questione, proprio le reazioni alla vicenda Petrella hanno mostrato con evidenza come l’Italia abbia stentato e stenti tuttora a rileggere quegli anni, troppo frettolosamente affrontati solo per via giudiziaria. Si è lontani dal saper rielaborare il lutto prodotto attraverso una soluzione politica rivolta a coloro che a quel tempo imbracciarono le armi, ma che al contempo è erroneo rileggere nella categoria della mera criminalità. I delitti motivati politicamente hanno sempre trovato maggiore penalizzazione nel momento stesso della drammaticità degli eventi. Così è stato pure in Italia, dove legislazioni e prassi emergenziali hanno determinato iper-penalizzazioni. Ma, al contempo, tali delitti hanno sempre trovato anche provvedimenti tendenti alla riconciliazione e al recupero degli eversori del tempo una volta finita tale emergenza.
Sono proprio tali provvedimenti - che vengono spesso riassunti nel nome di “soluzione politica” - a contribuire fortemente a che il fenomeno non abbia a riprodursi, stabilendo una chiara cesura con il passato e riaffermando così l’autorità statuale in grado di reprimere ma anche di ricostruire. Purtroppo così non è stato in Italia relativamente ai delitti compiuti negli anni ’70 e ’80 e purtroppo ci si ritrova spesso a misurarsi o con fantasmi del passato o con nuovi gravi episodi che a tale passato mai chiuso cercano di riconnettersi.
La speranza è che, anche a partire dal recente episodio relativo a Marina Petrella, possa avviarsi una riflessione pacata sulla nostra capacità collettiva di chiudere quegli anni, di saperli rileggere, di condividere ancora oggi il dolore delle vittime, ma di saper anche riaccogliere coloro che di questo dolore furono un tempo responsabili.
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