Gli psicologi penitenziari si apprestano a stilare un documento rivolto al Governo nel quale denunciano lo stato di crisi in cui versano le loro attività, con tutte le conseguenze che ciò si porta dietro. Lo hanno raccontato ieri in una conferenza stampa romana organizzata dal Consiglio nazionale dell'Ordine degli psicologi e dall'Associazione unitaria psicologi italiani. Le risorse umane ed economiche che vengono destinate al settore non permettono di dedicare a ciascun detenuto più di 12 minuti al mese. Troppo pochi, per far fronte a quella fucina di malesseri psichici che è la vita penitenziaria. L'Osservatorio sulle carceri di Antigone ha rilevato come gli ansiolitici siano di gran lunga i farmaci più distribuiti nelle galere, andando a coprire con creatività ogni sorta di male.
E,
infatti, nei primi cento giorni dello scorso anno i suicidi sono stati
il 67% delle morti in carcere. E, infatti, l'aggressività all'interno
delle carceri crescerà al punto da lasciar prevedere disordini
significativi nei prossimi anni. Quegli stessi disordini che la povera
legge Gozzini, periodicamente sotto i cannoni di calcolatori e
interessati allarmisti, si riproponeva di contenere. La legge era nata
per rispondere a un pensiero complessivo della pena, che la voleva
ancor più rispondente alla funzione rieducativa assegnatale dalla
Costituzione di quanto non lo fosse dopo la sola riforma di undici anni
addietro, e si sforzava di proporre al detenuto un percorso
penitenziario tale che l'intraprenderlo fosse conveniente tanto per lui
quanto per la società esterna. Le dure rivolte penitenziarie vissute
nel decennio precedente divennero memoria storica. La legge funzionò
tanto sotto questo versante quanto sotto quello della reintegrazione in
società dei detenuti sottoposti a misure alternative, infinitamente
meno recidivi di coloro (purtroppo moltissimi) per i quali non si ebbe
la possibilità o il coraggio di applicare la legge Gozzini.
Un
pensiero complessivo della pena, viveva dietro quella legge. Un
pensiero complessivo della pena, è quello che oggi, e da tanto tempo
ormai, manca nella gestione politica del sistema penale e
penitenziario. Gli psicologi penitenziari, operatori carcerari che
dovrebbero essere inseriti in una conduzione integrata della
quotidianità detentiva, sono costretti a uscire dalla cornice e a
raccontarci che quei disordini che il legislatore volle impedire
attraverso un progetto organico rientrano dalla finestra a causa di una
semplice inedia di conduzione. Non si sono stanziate risorse per
l'assistenza psichica, e quella che poteva essere una direzione comune
verso cui il sistema si incamminava va slabbrandosi nelle tante
problematiche dei singoli detenuti. Solo 404 psicologi sono pochi per
46.000 detenuti, già 2.000 in più di quelli che le carceri potrebbero
contenere. La rapsodicità politica e amministrativa trova qui un altro
esempio. L'indulto votato solo un anno e mezzo fa è servito da traino
per riempire di nuovo gli istituti appena svuotati. Proprio ieri il
Ministero della Giustizia ha sventolato con la mano destra i dati delle
carceri di nuovo sovraffollate. Lo stesso Ministero che con la mano
sinistra ha stilato una parte del pacchetto sicurezza presto in
discussione in Consiglio dei Ministri. Un'altra parte riguarda la
criminalità organizzata.
Ancora ieri, dagli Stati Uniti arrivava la notizia che un italiano detenuto non ci sarebbe stato restituito per il pericolo che avrebbe corso di venire sottoposto al durissimo regime penitenziario del 41 bis. L'Italia rischia di violare le convenzioni internazioni in materia di tortura, ci è stato detto. Mastella questo lo sa bene, se solo pochi mesi, in audizione davanti alla Commissione parlamentare antimafia, raccontò del suo proposito, sì, di inasprire il 41 bis, ma di farlo sottovoce e a passi felpati, per non incorrere nei rimproveri della Corte europea dei diritti umani, già in passato schivati per un pelo.
Ora siamo alla vigilia di un possibile nuovo pacchetto sicurezza. Rivolgiamo un appello a tutte le forze di sinistra affinché impediscano ulteriori stravolgimenti in senso illiberale del nostro sistema di giustizia.
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