Rivolte e suicidi in carcere ci raccontano dell'importanza dell'affettività

121649365-4dbfbac4-4c04-4e7b-8bda-7bcebf2775c1Ad innescare le proteste nelle carceri non fu una cabina di regia criminale. Il motivo va invece ricercato nell'insoddisfazione della popolazione detenuta per la poco dignitosa qualità della vita penitenziaria e, soprattutto, nella sospensione dei colloqui in presenza con i familiari. A scriverlo è la Commissione ispettiva del Dap, presieduta dall’ex procuratore Sergio Lari, nella relazione finale sulle rivolte nelle carceri avvenuta nel marzo del 2020. 

Già in quei giorni di marzo avevamo capito che quelle chiusure sarebbero state un aggravio enorme per chi, già normalmente, ha rapporti rarefatti con i propri affetti. Tanti erano i detenuti e i familiari che si rivolgevano a noi in un misto di paura, preoccupazione, ansia, dovuto a quanto stava accadendo con il diffondersi del Covid-19, di cui sapevamo tutti molto poco e per il quale tutti avevamo negli occhi le immagini terribili di ospedali al collasso e delle ambulanze che sfrecciavano nelle città deserte. Per questo, da subito, avevamo chiesto al DAP di dotare i detenuti di telefoni e tablet, consentendo di videochiamare i familiari, ben oltre i 10 minuti alla settimana previsti dal regolamento penitenziario. Quella nostra richiesta fu accolta e in pochi giorni oltre 1.000 telefoni e tablet arrivarono nelle carceri, superando anni di ostruzionsimo su questo tema. 

Oggi stiamo chiedendo la stessa cosa come strumento per prevenire i suicidi. L'esito della relazione della Commissione del Dap dovrebbe farci capire quanto l'affettività, il poter sentire e vedere i propri familiari, sia importante per chi è detenuto. Anche, appunto, nel prevenire qualsiasi intenzione suicidaria.

Si liberalizzi il numero di telefonate a disposizione dei detenuti quindi. E lo si faccia presto.