Non serve costruire nuove carceri

carcere san vittore celladi Patrizio Gonnella su il manifesto del 3 dicembre 2020

Chiunque abbia a cuore la legalità costituzionale dovrebbe chiedere a gran voce che le carceri non si riempiano oltre la capienza regolamentare, a prescindere dall'emergenza sanitaria in corso. Ovviamente i rischi di diffusione del Covid, con il tasso di imprevedibilità che tale malattia porta con sé, rendono ancora più stringente l'esigenza di ridurre i numeri globali. Nessuno può negare che la parola pena sia sinonimo di sofferenza, ma da almeno la fine del diciottesimo secolo si afferma che il fine delle pene non debba essere tormento o afflizione. 

È inaccettabile assegnare alla pena uno scopo che non si quello descritto nella Costituzione che, ci piaccia o meno, non parla di punizione, vendetta, neutralizzazione sociale. Chiunque, compreso Marco Travaglio, abbia un'idea di pena che sia mero contenimento o pura afflizione è distonico rispetto alla legalità costituzionale che non lascia spazio a oramai superate dottrine retributivistiche, che avevano nel Guardasigilli degli anni 30 Alfredo Rocco uno dei più qualificati sostenitori. Da allora è passato quasi un secolo e non riusciamo a liberarci dalle sue idee e dal suo Codice, stracolmo di eccessi punitivi. 

Dunque, se la pena non deve essere tormento o afflizione, è inaccettabile che i detenuti siano stipati in istituti dove manchi lo spazio vitale. Al momento in Italia vi sono 53.489 detenuti. La capienza regolamentare è pari a 50.570 posti. Così come si legge nelle statistiche ufficiali pubblicate dal ministero della Giustizia "il dato sulla capienza non tiene conto di eventuali situazioni transitorie che comportano scostamenti temporanei dal valore indicato". 

Situazioni transitorie che sono riassumibili in circa ulteriori 3-4 mila posti inutilizzabili. Complessivamente vi sono circa 7 mila persone in più rispetto alla capienza regolamentare. Già questo dovrebbe far trasecolare un qualunque amante della legalità. Non è ammissibile che il carcere, luogo di esecuzione delle pene legali, si trasformi in spazio illegale. I circa 900 detenuti attualmente positivi (a cui vanno aggiunti tutti coloro che sono venuti a contatto con questi ultimi) impongono ubicazioni individuali (che determinano ulteriori ammassamenti per i detenuti negativi al virus) allo scopo di evitare che il virus giri indiscriminatamente colpendo tutti, compresi i reclusi malati oncologici, cardiopatici, diabetici, nonché gli ultrasettantenni. 

C'è un triplo motivo per chiedere che si riduca la popolazione detenuta: assicurare legalità alla pena (il sovraffollamento degrada le persone a numeri, li rende invisibili, nega la fruizione di diritti fondamentali); evitare che si mandino in galera persone che hanno commesso delitti privi di offensività criminale; e infine, garantire il diritto alla salute anche di chi è in stato di detenzione. 

In carcere va assicurato un adeguato distanziamento fisico, anche nell'interesse dello staff (sono circa mille gli operatori contagiati). 

È un compito questo che vorremmo fosse a cuore del ministero della salute, competente per legge su ciò che riguarda la medicina nelle carceri. Costituzione e pragmatismo richiederebbero il coraggio di misure deflattive nonché la trasformazione della pandemia in occasione per un nuovo ordinamento sistema penitenziario ispirato alla modernità. Il peggior modo di usare i milioni del Recovery Fund è quello di investire nella costruzione di nuove carceri. Non abbiamo bisogno di nuove carceri ma di un nuovo sistema penitenziario che punti sulle misure di comunità, sulla modernizzazione e umanizzazione della vita detentiva, sulla gratificazione sociale ed economica del personale tutto.