Nel rapporto regionale, la situazione delle carceri dell'Emilia-Romagna (il report completo)

Presentazione rapporto BolognaE' stato presentato ieri a Bologna il primo rapporto regionale dell'Emilia-Romagna sulle condizioni di detenzione. L’Emilia-Romagna, con i suoi 3.641 detenuti, corrispondenti al 6% del totale nazionale, si colloca al settimo posto tra le regioni italiane per numerosità della popolazione detenuta, tra il Piemonte (4.570) e la Toscana (3.420). Il dato di flusso, che misura il numero degli ingressi in carcere dallo stato di libertà, registra 2.870 persone (229 le donne) delle quali 1.559 straniere (122 le donne) entrate nelle prigioni emiliano-romagnole equivalente al 6.1% del totale nazionale. 

Per quanto attiene alla quota di cittadini stranieri reclusi, l’Emilia Romagna presenta un dato percentuale molto elevato. Con riferimento alle regioni di medio-ampie dimensioni, dalla seconda metà degli anni ‘90, l’Emilia Romagna ha conteso al Veneto il primato della quota più alta di carcerati stranieri, ma nell’ultimo quinquennio la differenza si è ampliata “in favore” del Veneto, mentre si segnala un progressivo avvicinamento della Toscana e un allontanamento verso percentuali più basse di Lombardia e Piemonte. Considerando che la nostra regione detiene il primato nazionale per percentuale di stranieri residenti (11.9%), il tasso di sovrarappresentazione resta comunque elevato (4.3 contro il 3.95 medio nazionale), ma ben distante dai picchi di Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige e Sardegna e significativamente inferiore a quelli di Veneto (5.9) e Piemonte (4.8). La quota percentuale di stranieri presenta scostamenti significativi da istituto a istituto: queste differenze sono rilevanti con riferimento alle condizioni di detenzione per via delle implicazioni di carattere linguistico e relative alla gestione interna (distribuzione dei detenuti nelle sezioni più o meno orientata alla omogeneità su base “etnica”), ma soprattutto poiché tendenzialmente i reclusi stranieri presentano una collocazione sociale ancor più radicalmente ancorata alla marginalità, alla povertà estrema e all’assenza di referenti sul territorio (isolamento affettivo).   

Le cifre ufficiali sopra riportate non variano in maniera significativa se le rapportiamo a quelle rilevate direttamente nel corso delle visite dell’Osservatorio nel 2018. Tra i 3.623 detenuti presenti (130 donne) riscontriamo una notevole differenza solo per quanto attiene alle posizioni giuridiche, nel senso che i definitivi risultano coprire il 50% della popolazione reclusa, contro il 70% di fonte ministeriale. Abbiamo raccolto anche i dati relativi ai circuiti di alta sicurezza e ad altre tipologie di detenuti che, per varie ragioni, non sono “ospitati” nelle sezioni comuni. Istanze di sicurezza, protezione e gestione portano 581 soggetti ad essere reclusi nei circuiti a regime differenziato (una minoranza non irrilevante del 16%). 

Per quanto attiene alla maggioranza dei detenuti, che scontano la pena o attendono i processi nelle sezioni comuni in regime di media sicurezza, è senza dubbio importante rilevare come, dopo alcuni anni di deflazione, il tema del sovraffollamento penitenziario sia nuovamente cruciale, a seguito di un triennio di progressione numerica della popolazione detenuta. La regione Emilia Romagna non fa eccezione, posizionandosi sopra la media nazionale per indice di sovraffollamento: le rilevazioni ministeriali del 31 marzo 2019 lo collocano al 129.8%, contro il 120% nazionale. Ciò significa che, in regione, gli spazi previsti in termini di capienza regolamentare per 100 detenuti ne vedono presenti 130 (eccedenza di un terzo circa). 

Tra le grandi regioni, solo Puglia (162.4%), Lombardia (139.3%) e Veneto (130.4%) presentano condizioni emergenziali più acute. Dal 30 aprile 2018, la variazione regionale di crescita segna un significativo +4.6%.  Naturalmente, il sovraffollamento incide sulla qualità della vita detentiva (congestione degli spazi) e può contribuire a comprimere diritti e aspettative dei detenuti, riducendo ad esempio le possibilità di accesso alle attività trattamentali, ai servizi sanitari e scolastici, alle opportunità ricreative. Basti pensare che in media il rapporto tra detenuti ed educatori è di 80 a 1.     

Le condizioni strutturali del comparto penitenziario emiliano-romagnolo sono complessivamente discrete, se comparate al panorama nazionale, e costituiscono parametri significativi nel tentativo di ragionare in termini di qualità della vita detentiva. A fronte di requisiti di decenza comunque garantiti nella totalità degli istituti, si evidenziano carenze significative in riferimento agli impianti di riscaldamento.   

A partire da questi dati di sfondo il rapporto affronta alcuni nodi cruciali della vita detentiva combinando un’analisi puntuale degli indicatori numerici disponibili con osservazioni critiche che si riferiscono alle competenze specifiche degli autori in ambito sociologico e giuridico. I capitoli riflettono quindi un approccio quali-quantitativo e affrontano i nodi della dimensione spaziale della detenzione, della specifica configurazione degli istituti minorili, delle forme di reclusione destinate alle donne. Il quadro che ne emerge riflette il livello di frammentazione e le criticità dei processi di circuitazione, che rischiano di produrre comparti detentivi ulteriormente deprivati e marginalizzanti. Al suo interno, alcuni conflitti significativi emergono con riferimento all’organizzazione della sorveglianza e della sanità penitenziaria, cui sono dedicati i capitoli di chiusura.

Il rapporto non ha pretese di esaustività e si concentra intenzionalmente su alcune questioni. Intenzione della sede Emilia Romagna di Antigone è quella di procedere con altri approfondimenti nei prossimi anni.

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