Abolire l’ergastolo questione di civiltà, di D.Farina, Liberazione 9/10/06

Che cosa hanno in comune il senatore Antonio Di Pietro e il giurista Cesare Beccaria? Nulla, neppure il giudizio, apparentemente convergente, sulla pena dell’ergastolo.

Non dubito infatti che quando il secondo, 250 anni fa, si batteva per l’abolizione della pena di morte, e la sua sostituzione con la detenzione a vita, il primo sarebbe stato tra i suoi più fieri avversari. Oggi possiamo immaginare Beccaria fra le schiere di coloro che ne chiedono l’abolizione, e siamo certi che vedremo Di Pietro insieme a coloro che si opporranno. Il tema non è però astratto visto che se ne dibatterà di nuovo in Parlamento: discussione tra favorevoli e contrari alla cancellazione dell’ergastolo dal nostro ordinamento e sulla sua sostituzione con pena lunga ma non, appunto, perpetua. Di nuovo perché già nel 1998 il Senato della Repubblica votò a favore del provvedimento di abolizione, arenatosi poi alla Camera dei Deputati.

Oggi, se possibile, sarà più difficile di allora, prova evidente ne è la recente approvazione dell’indulto e le polemiche che ne sono seguite. Bastino a titolo di esempio le recenti pagine sul caso del “mostro di Foligno”, in carcere dal 1992, in quanto responsabile di due atroci omicidi di bambini, che, per “colpa” dell’indulto uscirà nel 2020, piuttosto che nel 2023. I dati generali e assai positivi del Ministero di Grazia e Giustizia, a due mesi dal varo del provvedimento, hanno smentito molti oracoli della catastrofe, ma non contano nulla a fronte della strumentalizzazione di emozioni per se stesse comprensibili.

E’ evidente che, per molti, chi propone l’abolizione dell’ergastolo sia persona che attenta alla sicurezza dei cittadini. La cultura del senatore Di Pietro, che, dicevamo, non è un illuminista, gli fa desumere che più carcere significhi più sicurezza nella società. Anche se i dati sulla recidività (si torna a delinquere quattro volte di meno con misure alternative alla detenzione) ci dimostrano il contrario; ma ci dicono anche che chi si è opposto all’indulto ha lavorato contro e non a favore dell’incolumità dei cittadini: ha rischiato di essere complice di migliaia di atti di criminalità che invece, grazie al provvedimento approvato, non sono stati compiuti ( il che comunque non toglie gravità a quelli, per fortuna pochi, che invece si sono realizzati).

E’ una visione, quella che interpreta la giustizia come vendetta, che ha scavato anche a sinistra, lungo la faglia delle illegalità di Berlusconi, nella sopravvalutazione della capacità moralizzatrice dell’azione giudiziaria, nel silenzio assenso all’equazione immigrazione-delinquenza, che cita continuamente lo stato di diritto e ne è invece la peggiore nemica.

Già nella passata legislatura la Commissione Grosso, nell’ambito della riforma del Codice Penale, aveva pensato di affiancare al carcere a vita un regime di detenzione speciale di trent’anni, sostanzialmente non soggetto ad ulteriori riduzioni. Oggi la Commissione Pisapia, e indipendentemente da questa il dibattito parlamentare, hanno l’occasione di proporre nuovamente una generale rivisitazione di molti istituti del diritto penale, e un loro adeguamento alla realtà del paese, certamente diversa da quella del 1930.

Alla maggior parte dei cittadini poco interessa il lungo dibattito avvenuto, anche in sede costituzionale, sulla permanenza dell’ergastolo o sul carattere della pena, e se si riproponesse oggi il referendum del 1981 sull’abolizione, probabilmente la maggioranza degli italiani voterebbe ancora per mantenerlo. Ma siamo così certi che, seguendo le orme dei Di Pietro, dei Travaglio, dei Borghezio, anche la reintroduzione della pena di morte non troverebbe ascolto?

C’è una battaglia culturale che occorre continuare ed è qui che si inserisce la proposta di abolizione: non è una questione relegata alla sfera del diritto, di codici e specialisti, investe invece il modello di società, i termini della convivenza civile, le città ed i quartieri in cui vogliamo vivere.

Ci sarà un motivo perché nella storia moderna le carceri e la civiltà vengono con insistenza collegate, e un motivo per cui guardiamo a modelli alternativi, più efficaci degli attuali, per la sicurezza dei cittadini. Ci sarà anche un motivo per il fallimento disastroso delle strategie di tolleranza zero, e uno che ci spinge a ricercare anche oggi un diverso rapporto tra società e diritto penale.

Una cosa mi sembra certa: senza l’ergastolo non saremo un Paese meno sicuro, forse solo un poco più civile.
9 ottobre 2006