Asgi e altre associazioni contro il disegno di legge A.S. 733 relativi ai minori stranieri e comunitari non accompagnati, immigrazione.biz, 30/10/08

Asgi e altre associazioni contro il disegno di legge A.S. 733 relativi ai minori stranieri e comunitari non accompagnati

Ecco la nota inviata ai membri della Commissione Affari Costituzionali del Senato

L'ASGI ha promosso, assieme ad altre organizzazioni, un appello al Parlamento e all'opinione pubblica affinchè non venga approvato l'emendamento 18.22 al disegno di legge A.S. 733 che modificherebbe i commi 1 e 1-bis dell'art. 32 del T.U. immigrazione, rendendo possibile il rilascio di un permesso di soggiorno al minore straniero non accompagnato che compia la maggiore età solo a condizione che sia affidato o sottoposto a tutela e sia entrato in Italia da almeno tre anni e abbia partecipato ad un progetto di integrazione per almeno due anni. Nell'appello si sottolinea, tra l'altro, come tale misura, se approvata, avrebbe seri effetti controproducenti in quanto disincentiverebbe l'emersione di molti minori stranieri non accompagnati dalla marginalità e dall'illegalità, mentre costituirebbe un incentivo all'immigrazione irregolare in età sempre più precoce.

Ecco cosa dice l'appello:

1) Rilascio del permesso di soggiorno ai minori stranieri non accompagnati al compimento della maggiore età

L'emendamento 18.22 al disegno di legge A.S. 733 modifica i commi 1 e 1-bis dell'art. 32 del Testo Unico n. 286/98. In conseguenza di tale emendamento, il rilascio di un permesso di soggiorno al minore straniero non accompagnato che compia 18 anni sarebbe possibile solo a condizione che sussistano contemporaneamente (e non più alternativamente) i seguenti requisiti, ovvero che il minore a) sia affidato ai sensi dell’art. 2 della legge n. 184/1983 o sottoposto a tutela e b) sia entrato in Italia da almeno 3 anni e abbia partecipato a un progetto di integrazione per almeno 2 anni.
Non potrebbe più essere rilasciato, dunque, un permesso di soggiorno ai minori che, pur affidati o sottoposti a tutela, siano entrati in Italia dopo il compimento dei 15 anni e/o non possano dimostrare di aver partecipato a un progetto di integrazione per almeno 2 anni. Questi ragazzi, anche nei casi in cui siano iscritti a scuola o abbiano un contratto di lavoro, alla maggiore età verrebbero espulsi o resterebbero in Italia come stranieri irregolari.

L’esclusione dei minori non accompagnati che sono entrati dopo il compimento dei 15 anni dalla possibilità di ottenere un permesso di soggiorno alla maggiore età introdurrebbe una disparità di trattamento tra i minori stranieri presenti in Italia che non trova un ragionevole fondamento nei principi dell’ordinamento italiano, costituendo una violazione del principio di non discriminazione sancito dall’art. 3 della nostra Costituzione e dall’art. 2 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.

Gli effetti di tale modifica normativa, inoltre, sarebbero estremamente negativi, sia rispetto alla tutela dei diritti dei minori, sia rispetto agli stessi obiettivi di promozione della sicurezza che il Governo intende perseguire. L’esclusione dei minori non accompagnati che sono entrati in Italia dopo il compimento dei 15 anni da ogni prospettiva di inserimento legale, infatti, scoraggerebbe questi ragazzi dall’emergere e dal seguire un progetto di integrazione. Se entrerà in vigore la norma proposta, questi minori avranno la consapevolezza che, anche seguendo con impegno un percorso scolastico, formativo e lavorativo e rispettando la legge, comunque alla maggiore età non potranno ottenere un permesso di soggiorno e diventeranno espellibili: saranno quindi spinti a restare nella clandestinità, fuori dal circuito di accoglienza, costretti a vivere in condizioni abitative assolutamente inadeguate (per strada, in baracche, in fabbriche abbandonate ecc.), non andranno a scuola, non avranno accesso ai servizi sanitari e sociali, e molto facilmente finiranno sfruttati nel lavoro nero, nell’accattonaggio, in attività illegali o nella prostituzione minorile.
Le conseguenze pratiche di tale disposizione porterebbero dunque a gravi violazioni dei diritti riconosciuti dalla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza a tutti i minori che si trovino sul territorio italiano, indipendentemente dalla nazionalità e dalla posizione in ordine al soggiorno (art. 2 Convenzione): i diritti all’accoglienza, all’istruzione, alla salute e alla protezione dallo sfruttamento e più in generale il principio in base a cui il superiore interesse del minore deve essere una considerazione preminente in tutte le decisioni riguardanti i minori (art. 3 Convenzione).
Inoltre, tale modifica normativa avrebbe effetti molto negativi non solo rispetto alla tutela dei diritti dei minori, ma anche per la società italiana, in quanto con tutta probabilità si verificherebbe un aumento del numero di minori sfruttati o comunque impiegati in attività illegali.

In secondo luogo, i percorsi di integrazione di tutti quei minori che avranno scelto di restare comunque nelle comunità d’accoglienza e di seguire i progetti di inserimento scolastico e formativo, pur non avendo il requisito dell’ingresso da almeno 3 anni, sarebbero bruscamente interrotti alla maggiore età: ciò rappresenterebbe per lo Stato italiano un assurdo spreco delle risorse economiche ed umane investite per l’integrazione di questi minori.

Tale norma, infine, può costituire un incentivo a un’immigrazione in età sempre più precoce: se l’ingresso in Italia da almeno 3 anni sarà un requisito necessario per restare regolarmente dopo la maggiore età, molti bambini e genitori saranno probabilmente spinti ad anticipare la migrazione verso l’Italia prima dei 15 anni. Quando tale requisito fu introdotto dalla legge n. 189/02 e per un certo periodo prevalse l’interpretazione per cui i minori che erano entrati in Italia da meno di 3 anni non potevano in alcun caso ottenere un permesso di soggiorno alla maggiore età, secondo la testimonianza di numerosi operatori si assistette effettivamente a un abbassamento dell’età media di arrivo. Questo avrebbe gravi conseguenze rispetto alla tutela dei diritti dei minori, in quanto trovarsi senza i propri genitori in un paese straniero è evidentemente causa di assai più grave pregiudizio per un bambino di meno di 15 anni che non per un ragazzo più grande.

L’obiettivo della modifica proposta sembra essere quello di scoraggiare gli ingressi di minori non accompagnati. Dai dati disponibili, tuttavia, risulta che il numero di minori non accompagnati presenti in Italia non ha subito rilevanti variazioni nell’ultimo decennio, a fronte di modifiche in senso più o meno restrittivo delle norme e delle prassi relative al rilascio del permesso ai 18 anni: tra i momenti in cui è stato sostanzialmente bloccato il rilascio del permesso di soggiorno alla maggiore età e i momenti in cui è prevalsa l’interpretazione meno restrittiva della legge, non si sono registrate significative variazioni nel numero di minori non accompagnati che arrivavano nel nostro paese.
Dall’esperienza di questi anni è ormai chiaro che tali modifiche hanno un impatto non tanto sulla scelta se emigrare o meno in Italia, quanto sull’età della partenza e soprattutto sul percorso in Italia. Se sarà approvata la norma proposta, probabilmente non si avrà una reale riduzione del numero di minori non accompagnati che arriveranno in Italia, ma si registrerà un abbassamento dell’età media, con una più elevata proporzione di minori di età inferiore ai 15 anni tra i nuovi arrivi. E, soprattutto, si avrà un forte aumento del numero di minori che resteranno nella clandestinità, sfruttati in circuiti di marginalità e illegalità, e senza accesso a quei diritti (all’accoglienza, alla salute, all’istruzione ecc.) che la Convenzione ONU riconosce a tutti i minori.

Auspichiamo dunque che l’emendamento 18.22 non venga approvato, e che siano pienamente applicate le vigenti disposizioni di cui all’art. 32 Testo Unico n. 286/98, conformemente alla giurisprudenza in materia della Corte Costituzionale e del Consiglio di Stato.

2) Rimpatrio assistito dei minori non accompagnati comunitari

L’emendamento 18.0.100 al disegno di legge A.S. 733 prevede l’applicazione delle disposizioni relative al rimpatrio assistito di cui all’art. 33, comma 2-bis del Testo Unico n. 286/98 ai minori non accompagnati cittadini dell'Unione europea che esercitano la prostituzione, attribuendo dunque la competenza in materia al Comitato per i minori stranieri.
Tale disposizione si pone in contrasto con quanto previsto dal Regolamento (CE) n.2201/2003 del Consiglio del 27 novembre 2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che disciplina le materie relative alla responsabilità genitoriale, inclusi il diritto di affidamento – definito come l’insieme dei "diritti e doveri concernenti la cura della persona di un minore, in particolare il diritto di intervenire nella decisione riguardo al suo luogo di residenza" – e la collocazione del minore in una famiglia affidataria o in un istituto (artt. 1 e 2). Il Regolamento detta inoltre specifiche disposizioni in materia di ritorno del minore nei casi di trasferimento illecito o mancato rientro (art. 11). Ai sensi dell’art. 8 del Regolamento, la competenza ad adottare le decisioni in materia di responsabilità genitoriale (incluse le decisioni in materia di rientro del minore) è attribuita a un’autorità giurisdizionale. Sulla base del criterio di vicinanza, il Regolamento stabilisce che l’autorità giurisdizionale competente è in via generale quella dello Stato di residenza abituale (concetto che non viene definito dal Regolamento, ma che deve essere determinato dal giudice volta per volta nel caso concreto sulla base di elementi di fatto), fatte salve le disposizioni di cui agli articoli 9, 10 e 12.
La disposizione che attribuisce in generale la competenza sul rimpatrio dei minori non accompagnati cittadini dell'Unione europea che esercitano la prostituzione al Comitato per i minori stranieri è dunque evidentemente in contrasto con quanto previsto dal Regolamento CE n.2201/2003 in quanto, nei casi in cui lo Stato di residenza abituale del minore sia un altro Stato appartenente all’Unione Europea, la competenza sarà in via generale (con le eccezioni previste dal Regolamento stesso) dell’autorità giurisdizionale di tale Stato e non dell’Italia: ad esempio, nel caso di un minore che risulti abitualmente residente in Romania, sarà l’autorità giurisdizionale rumena a dover decidere sull’eventuale rientro dello stesso.
Posto che il Regolamento, in quanto normativa comunitaria, non può essere derogato dalla legislazione ordinaria, la disposizione in oggetto deve ritenersi illegittima.
Auspichiamo dunque che l’emendamento 18.0.100 non venga approvato, e che si dia piena applicazione al Regolamento (CE) n.2201/2003.

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