"Sono scafisti". "No, pescatori". Tensione Roma-Bruxelles-Tunisi, La Repubblica, 06/09/07

Il 7 agosto i sette pescatori tunisini hanno salvato in mare 44 clandestini
Arrivati a Lampedusa, il porto più vicino, sono stati arrestati per favoreggiamento

"Sono scafisti". "No, pescatori". Tensione Roma-Bruxelles-Tunisi

Polemica sui giornali nordafricani. L'intervento diplomatico. Ferrero: "Situazione paradossale
Mobilitazione a livello europeo. L'interrogazione dell'Unione. Domani sit-in a Agrigento
di CLAUDIA FUSANI

ROMA - "L'Italia liberi gli ostaggi tunisini". I titoli dei giornali tunisini rimbalzano a Roma, a Bruxelles e a Strasburgo e chiamano a raccolta un centinaio di parlamentari europei, i deputati dell'Unione e qualche decina di associazioni umanitarie italiane (tra cui l'Arci), europee (francesi, tedesche, belghe) e dei paesi del Maghreb che si affacciano sul Mediterraneo. Coinvolgono le diplomazie - anche se per ora solo le seconde linee - e fanno scendere in campo, in prima persona, la stessa ambasciata tunisina a Roma.

C'è una storia - iniziata la notte dell'8 di agosto, nel buio del Mediterraneo - che se finora è passata quasi inosservata nelle cronache estive sta però creando molta tensione nei rapporti tra Roma e Tunisi. E mette nuovamente sotto accusa la politica italiana sul fronte dei diritti umani. Al centro ci sono sette pescatori tunisini che quella notte d'agosto, con i loro due pescherecci, hanno salvato 44 clandestini altrimenti condannati a morte nel mare forza 4 e che dal 22 agosto sono sotto processo a Agrigento con l'accusa di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e tratta degli esseri umani. "Sono pescatori, non scafisti. Hanno compiuto un'azione di solidarietà e non un reato", accusano le autorità tunisine e le associazioni umanitarie che hanno mobilitato una rete di solidarietà che domattina darà vita a sit-in simultanei ad Agrigento - dove sono detenuti i sette pescatori e dove è in corso il processo - a Bruxelles davanti all'ambasciata italiana, a Parigi e nei paesi del Maghreb.


Stamani i deputati dell'Unione - dall'Ulivo (Zaccaria e Ferrari) ai Verdi (Bonelli) passando per Comunisti e Rifondazione (Gennaro Migliore e Graziella Mascia) - si sono incontrati a Montecitorio per decidere i contenuti di una interrogazione parlamentare che chieda conto di come e in nome di quali norme hanno agito le forze di polizia che hanno fermato i pescatori. E il ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero parla di "situazione paradossale".

I fatti - La notte del 7 agosto, nel braccio di Mediterraneo tra Tunisi e Lampedusa, due pescherecci tunisini, regolarmente iscritti al registro nautico di Monastir, hanno salvato 44 immigrati ammassati su un gommone in balia del mare forza 4. Tra i soccorsi anche 11 donne e due bambini. L'equipaggio dei due pescherecci - sette persone, tutte originarie di Teboulba, villaggio di pescatori, e dipendenti di un noto armatore - è stato arrestato appena entrato nelle acque territoriali italiane e nel porto di Lampedusa. Dalle carte del processo risulta che "i clandestini, originari di Sudan, Eritrea, Etiopia, Marocco, Togo e Costa d'Avorio, si erano imbarcati il 4 agosto in una spiaggia libica". Che "il soccorso è avvenuto a 37 miglia da Lampedusa e ad 80 miglia da Tunisi, in acque internazionali". E che il porto più vicino era Lampedusa.

Il processo - Un'azione di soccorso, dunque. Eppure sono scattate le manette e i pescatori tunisini sono sotto processo dal 22 agosto per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Contro di loro alcuni indizi del tipo che a bordo i due pescherecci non avrebbero avuto la regolare strumentazione per la pesca. E il fatto che quando le due imbarcazioni sono entrate nelle acque italiane puntando su Lampedusa (il porto più vicino e quindi quello dove trasferire i naufraghi in base alle norme internazionali), non si sono fermate quando è stato intimato l'alt. Nonostante le testimonianze dell'ambasciatore tunisino che ha certificato che i sette sono "realmente pescatori e molto conosciuti" e il pm che ha ritirato l'aggravante dell'aver agito con scopo di lucro, il tribunale di Agrigento si è opposto alla richiesta di scarcerazione e ha rinviato tutto alla prossima udienza, il 20 settembre.

Mediterraneo, una strage silenziosa di senza nome -
"E' urgente - spiega Graziella Mascia (Rc) - che il nostro governo dia un messaggio circa le politiche di contrasto all'immigrazione clandestina che vada nella direzione opposta rispetto a quello che è successo e in cui prevalga l'aspetto umanitario e di soccorso". Il fatto è, denunciano Christofer Hein del Comitato internazionale dei rifugiati e Omaya Seddik (Federazione tunisina per la cittadinanza delle due rive del mediterraneo) citando i dati del sito fortresseurope.com, che "nel mese di agosto sono morte nel Mediterraneo almeno 243 persone, 161 solo nel Canale di Sicilia, un record in un anno, il 2007, che già conta 959 vittime da gennaio". Tra le cause di questa strage silenziosa, aggiunge Filippo Miraglia dell'Arci, "i pescherecci che, dopo l'arresto dei tunisini, non fanno più operazioni di soccorso: si avvicinano, vedono i gommoni con i clandestini in difficoltà ma poi se ne vanno perchè non vogliono rischiare arresti e sequestri. Molti immigrati arrivati a Lampedusa ci hanno raccontato questo".

La mobilitazione europea - Sit in, appelli, conferenze stampe congiunte con associazioni italiane e tunisine. Una sola parola d'ordine: "Liberiamoli- No al delitto di solidarietà". Un centinaio di parlamentari europei hanno firmato un appello per la liberazione. "Questo caso - scrivono - rischia di compromettere il principio di solidarietà in mare. La Commissione europea e il governo italiano devono evitare la criminalizzazione di chi fa operazioni di salvataggio in mare". Chiedono anche di "rivedere le funzioni di Frontex", l'agenzia europea che tutela la frontiera marittima e che, secondo i parlamentari, "è uno strumento politico di repressione e morte per migliaia di migranti".