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Jimmy della Collina di Massimo Carlotto

Jimmy della Collina di Massimo Carlotto

Di Tilde Napoleone

“ Questo libro è dedicato ai volontari dell’associazione Oltre le sbarre di Cagliari e a don Ettore Cannavera della comunità La Collina di Serdiana” ed è dedicato al loro “straordinario lavoro” che consente di sostenere i percorsi di vita di ragazzi come Jimmy.

Jimmy è un duro, un “ragazzo difficile”, che nonostante provenga da una famiglia “normale”, decide di dedicarsi ai furti, alle rapine, ma non per vizio, solo perché vuole mettere i soldi da parte per costruire il suo futuro. Per lui il crimine è una scorciatoia, l’unico modo possibile per accumulare un bel gruzzoletto da investire. Ascoltare le sue parole, entrare nei suoi pensieri ce lo fa sentire più vicino. Per questo è importante che il libro faccia parte di una collana per ragazzi. Jimmy non è diverso dagli altri ragazzi che come lui sognano una quotidianità migliore. Il grosso colpo, quello che gli avrebbe dato la libertà, lo consegna invece alla galera. Per la prima volta dentro, incontra il mondo dei più duri e si adegua. I colloqui con le figure istituzionali del carcere, fanno solo da sfondo alle vicende che per Jimmy sono davvero formative: i rapporti di forza con gli altri ragazzi, i tradimenti, il dover essere qualcuno, la necessità di farsi un nome, il dover nascondere fragilità e debolezze. Quei colloqui con l’educatore, il direttore, lo psicologo, risuonano paradossali. A Jimmy sono richieste cose impossibili; nessun dialogo è sincero. Le chiusure da entrambi i lati non lo permettono. Il carcere è questo; non promuove cambiamenti, non può farlo perché fonda la sua esistenza sulla falsità. Jimmy capisce che deve far finta di…sempre, con l’istituzione e con gli altri ragazzi. Alla fine capisce che deve far finta di essere cambiato perché questo lo aiuta nei suoi piani di fuga.

Ma ad un certo punto la barriera viene rotta e solo grazie all’esterno, alla comunità esterna che entra in carcere per proporre relazioni significative, che non siano strumentali a qualsivoglia obiettivo. Un gruppo di volontari, persone che non giudicano, che non chiedono, che non controllano, permettono quasi in modo naturale a Jimmy di rivedere la propria esperienza e di valorizzare un altro modo di comunicare.

Se il carcere ancora deve esistere (arriveremo un giorno al suo superamento?), non può farlo se non in costante comunicazione e scambio con l’esterno; un esterno che però sia davvero significativo, accogliente, favorevole all’ascolto. L’esperienza di don Ettore Cannavera ci dimostra che qualcosa di diverso in questo senso è possibile. Il suo sforzo costante di mettere in relazione, di rendere la comunità, i cittadini tutti, soprattutto quelli che hanno maggiori mezzi, responsabili in prima persona del tentativo di includere ragazzi che sono stati esclusi, è un esempio da seguire e possibilmente da moltiplicare

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