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Islamiche svelate, bufera su Straw, Il Manifesto, 7/10/06

Gran Bretagna, il ministro di Blair: il velo divide, difficile confrontarsi con le donne che l'indossano
Islamiche svelate, bufera su Straw

Coro di proteste da parte dei musulmani: la sua è ignoranza, a separare le comunità sono le guerre in Iraq e Afghanistan e le leggi anti-terrorismo volute dal governo laburista
Michelangelo Cocco


Il volto coperto delle musulmane rende più difficili i rapporti tra le diverse comunità del Regno unito, per questo sarebbe meglio che le donne di religione islamica non indossassero il velo in pubblico. Jack Straw, ministro degli esteri britannico al momento dell'attacco all'Iraq e attualmente al dicastero per i rapporti con il parlamento nel governo Blair, ha preso carta e penna e ha scritto un articolo sul Lancashire Telegraph di Blackburn, un giornale della città del nord dell'Inghilterra dove ha sede la sua circoscrizione elettorale. Sulle colonne del giornale Straw ha raccontato la storia di una donna che era andata a parlargli indossando il niqab, il copricapo che lascia scoperti soltanto gli occhi. «Mi sentivo a disagio a dover parlare "faccia a faccia" con qualcuno che non potevo vedere», ha commentato l'ex capo della diplomazia di Londra. «Difendo il diritto di ogni donna d'indossare un copricapo - continua Straw -, per quanto riguarda il velo integrale, nessuna legge lo proibisce». Ma per Straw «la conversazione (con quella donna) sarebbe stata di maggior valore se si fosse tolta il velo».
Con il governo laburista che dal 7 luglio 2005 - quando quattro attentatori suicidi, musulmani britannici, uccisero 52 persone nella capitale - è alle prese con i problemi d'integrazione della sua comunità islamica (1.8 milioni di persone) e con il leader dei conservatori, David Cameron, che denuncia le «vite parallele» delle diverse comunità, la sortita di Straw ha suscitato aspre polemiche.
Secondo Rajnaara Akhtar, meno del 5% delle musulmane britanniche indossano il niqab, il velo integrale. La presidente dell'associazione «Protect hijab» ha dichiarato alla Reuters che «c'è una mancanza di comprensione», perché il governo avrebbe fallito nell'affrontare i veri problemi - disoccupazione e mancanza d'istruzione - che hanno ridotto «a ghetti» alcune aree, in particolare le periferie delle città settentrionali. Per Abdul Hamid Qureshi, a capo del consiglio delle moschee del Lancashire, le parole dell'ex leader del Foreign office «non sono utili e hanno il potenziale di causare rabbia». Reazioni negative anche da parte delle organizzazioni alle quali fanno riferimento gli islamisti britannici. Per il Muslim council of Britain - il più grosso di questi raggruppamenti - «i commenti di Straw fanno il gioco di chi è intollerante nei confronti dell'Islam e possono minare ulteriormente le libertà civili nel nostro paese». Dopo le leggi approvate all'indomani degli attacchi dell'11 settembre 2001 e potenziate in seguito agli attentati alla metropolitana di Londra, la comunità islamica britannica si sente sotto assedio. Le organizzazioni più radicali, quelle che il governo vorrebbe dichiarare illegali, ci vanno giù duro: la comunità musulmana non ha bisogno di lezioni da Straw secondo Hizb ut-Tahrir. «Col velo non si comunica bene? - ironizza al telefono da Londra Tayi Mustafa, portavoce di Hizb ut-Tahrir - Beh noi stiamo comunicando benissimo eppure io non posso vederla». Secondo Mustafa i rapporti tra le diverse componenti della società britannica «sono resi difficili dalle leggi antiterrorismo draconiane e dalle guerre in Iraq e Afghanistan» nelle quali Londra svolge un ruolo da protagonista.
Se l'uscita di Straw è riuscita a far infuriare parte dei cittadini islamici del Regno, c'è però chi sottolinea che la sua entrata a gamba tesa nel dibattito sull'integrazione della comunità musulmana potrebbe essere stata dettata da motivi politici: nell'ambito della corsa alla successione a Tony Blair e John Prescott, rispettivamente premier e vice primo ministro prossimi ad abbandonare le loro poltrone, Straw mirerebbe ad innalzare il proprio profilo nel dibattito politico, per prendere il posto di Prescott.

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