Nei giorni scorsi avevamo
lanciato da Il Manifesto un appello al ministro della Giustizia Paola
Severino perché dicesse parole chiare contro la tortura. Purtroppo la ministra
ha proposto alcune modifiche al testo di legge che rischiano di rendere
evanescente il contenuto del reato e non perseguibile chi lo ha commesso.
Modifiche che hanno sollevato forti obiezioni da Amnesty International oltre che
da Antigone.
Non è facile spiegare perché le istituzioni italiane facciano resistenza
ogniqualvolta si tenti di criminalizzare la tortura.
Non è facile spiegare in termini giuridici perché non si copi fedelmente una definizione presente in un Trattato dell'Onu firmato e ratificato da mezzo mondo ma si tenti di cambiarne parole, contenuti e senso.
L'unica spiegazione che ci si può dare è anche la
più triste, ossia che l'intero apparato statale si trasforma in tali circostanze
in un grande corpo unitario che punta alla propria invulnerabilità e immunità.
Lo spirito di corpo ha impedito e impedisce tuttora che in Italia si persegua un
delitto considerato crimine contro l'umanità per il diritto internazionale.
A differenza dei suoi predecessori l'attuale Guardasigilli è un giurista.
Un giurista sa che esiste una norma costituzionale, l'articolo 117, che
subordina il diritto nazionale a quello internazionale. Ogni distonia oggi è
sanzionabile dalla Corte Costituzionale. E allora perché non affidarsi alla
definizione del crimine di tortura presente nella Convenzione Onu entrata in
vigore nel 1987 senza fare troppo i legulei? Dopo l'avvio della campagna
«Chiamiamola tortura», firmata da migliaia di persone, la commissione Giustizia
di Palazzo Madama aveva predisposto un testo che riassumeva le varie proposte
pendenti. Ci aveva lavorato con determinazione e celerità il senatore Felice
Casson. Il testo a noi suscitava delle perplessità. Le avevamo però reputate
superabili in vista dell'obiettivo finale di avere finalmente nel nostro codice
il crimine di tortura da utilizzare nei processi.
La stessa cosa non può però dirsi del nuovo testo, presentato lo scorso 27
giugno, su sollecitazione del ministro della Giustizia. Nella prima parte,
ovvero nella descrizione della condotta del torturatore, esso si discosta in
modo ampio e ingiustificato rispetto al Trattato Onu contro la tortura. In
particolare è inaccettabile che per esservi tortura debbano essere compresenti
le sofferenze psichiche e fisiche. Nella definizione Onu affinché si integri il
delitto di tortura è sufficiente che siano prodotte le une o le altre, non
devono esserci tutti i tipi di sofferenze immaginabili. In questo modo
l'umiliazione o l'intimidazione da sole non configurerebbero il reato. Oppure un
pestaggio senza ripercussioni psicologiche particolari renderebbe non punibile
per tortura il responsabile. Ancora più sorprendente è l'avere aggiunto nella
definizione della fattispecie penale la seguente espressione: «non in grado di
ricevere aiuto». Il torturato per ottenere giustizia deve essere «non in grado
di ricevere aiuto». Non è facile spiegare a uno studioso di diritto cosa tale
frase significhi. Il torturando deve essere forse muto e solo mentre subisce le
violenze? Oppure deve obbligatoriamente urlare? E se soffre in silenzio non c'è
tortura? L'aiutante del torturando, che ben può essere un altro detenuto, è
quindi legittimato a reagire? È una frase infelice, priva di senso giuridico, e
dalla evidente doppiezza morale. Essa rischia di assicurare copertura legale ai
comportamenti violenti e illegittimi di chi ha compiti di custodia e fa pensare
ai tentativi di successivo insabbiamento.
Nei giorni scorsi il ministro della Giustizia, in senato, aveva detto che
prima di codificare il nuovo reato di tortura bisogna vedere se i reati generici
ne «coprono» l'ipotesi per poi andare a cercare eventuali buchi, eventuali
ambiti non puniti. Ma ciò, come sostiene, Antonio Marchesi, professore di
diritto internazionale all'università di Teramo nonché ex presidente di Amnesty
International: «È contrario al senso complessivo della Convenzione Onu.
L'insieme dei reati generici, anche nell'ipotesi che non ci fossero ambiti non
coperti, non coglierebbe comunque l'essenza della tortura, che è una cosa
diversa e più grave della mera somma delle sue componenti».
* presidente di Antigone
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