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In difesa di una effettiva protezione del diritto di asilo: le politiche della Unione Europea di armonizzazione del diritto di Asilo e la necessità di rivitalizzare la Convenzione di Ginevra del 1951", di T.Ribeiro Viana, SET’05

Master Universitario in Politiche dell’Incontro e Mediazione

Culturale, IV edizione, 2005,  Direttrice M.V. Tessitore.

 

Tesina Modulo D – DIRITTI UMANI, NUOVA CITTADINANZA, POLITICA DELLA LEGALITÀ[1]

In difesa di una effettiva protezione del diritto di asilo:

le politiche della Unione Europea di armonizzazione del diritto di Asilo e la necessità  di rivitalizzare la Convenzione di Ginevra del 1951

di Tatiana Ribeiro Viana

La Politica di Asilo della Unione Europea - Le misure di armonizzazione delle politiche comunitarie in materia di immigrazione e asilo -  Osservazioni conclusive

Nel corso di due settimane la barca avariata e carica di immigranti irregolari diretta verso l’Europa, fu in balia delle onde sulle acque turbolente del Mediterraneo, tra Libia ed Italia. Senza cibo né acqua fresca per una traversata marittima che si presumeva soltanto di poche ore, le perdite tra i passeggeri hanno cominciato a salire in forma allarmante quanto più trascorrevano i giorni e la barca andava alla deriva, senza un destino certo. Man mano che morivano i più deboli, i loro corpi erano lanciati in mare senza nessun tipo di cerimonia.

                                       Rifugiati in Europa -ACNUR

                                      

1.    La Politica di Asilo della Unione Europea

Senza dubbio una delle maggiori attuali sfide della società internazionale consiste nel prevenire l’esodo forzato delle popolazioni e innovare gli strumenti internazionali attualmente disponibili per contrastarlo.

La complessa e spesso distorta comprensione delle questione dei rifugiati é destinata a continuare, trattandosi di uno dei problemi più dibattuti e “scomodi” per l’Europa.

La teoria della “fortezza Europa” - ossia la politica restrittiva di protezione delle frontiere adottata dall’UE con l’obiettivo di ostacolare l’ingresso nel proprio territorio dei migranti irregolari -, così come le procedure limitative previste nella Convenzione di Dublino, relative, ad es., al ricongiungimento familiare dei richiedenti asilo durante l’attesa della procedura di riconoscimento, costituiscono un oneroso impedimento per i rifugiati a raggiungere e/o permanere in un posto sicuro.

La UE affronta oggi una grande sfida che è rendere effettivi gli obblighi assunti con la ratifica della Convenzione di Ginevra sui rifugiati, sfida resasi maggiormente onerosa a causa della proliferazione dei c.d. “flussi misti” dei richiedenti asilo e altri migranti (economici, ecologici, espatriati, in transito, etc) che suscitano nella opinione pubblica una percezione distorta dell’istituto dell’asilo e, di conseguenza,  del fenomeno migratorio tout court, infierendo nefaste conseguenze nei confronti delle classi più deboli di migranti (ossia, gli esiliati e i rifugiati). Quest’ultimi vengono semplicemente considerati “migranti economici”, “extracomunitari” o “immigrati clandestini”, essendo la loro richiesta di asilo spesso negata senza che sia previsto alcun procedimento effettivo di verifica sulla corretezza della procedura adottata in occasione del diniego dello status.

Altra conseguenza grave delle politiche restrittive in tema di immigrazione adottate dai paesi dell’UE é quella relativa ai rifugiati ed esiliati che, nell’intento di sfuggire alle persecuzioni e raggiungere il territorio europeo, finiscono per cadere nelle mani dei trafficanti di Esseri Umani, che li trasportono in precarissimi mezzi di transporto maritimo o terrestre, attraverso il mediterraneo e il deserto, lasciando indietro alcune centinaia o persino miglaia di morti.

L’UE impiega, fondamentalmente, quattro misure destinate a reprimere l’ingresso irregolare dei migranti e rifugiati nel suo territorio:

1.      La politica di “non arrivo”, ossia, vietare l’entrata di stranieri irregolari nel proprio territorio, compresi coloro i quali intendono far richiesta del riconoscimento dello status di rifugiato poiché, nella stragrande maggioranza dei casi, gli stessi non hanno documenti di identità validi;

2.      L’istituzione di una lista dei cosiddetti «paesi terzi sicuri», ossia, stati considerati non violatori dei diritti umani nei quali si possano inviare i migranti irregolari ed anche ‘ri-consegnare’ i richiedenti asilo i quali avevano già richiesto in quello stato il riconoscimento dello status. Tali misure sono state condannate dall’UNHCR poiché creano il rischio che i richiedenti asilo possano essere trasferiti da un paese all’altro senza che la loro richiesta di asilo sia valutata e correndo il rischio di poter  essere espulsi verso un paese dove rischiano di essere torturati e, addirittura, uccisi.

3.      L’applicazione di un’interpretazione talvolta più restrittiva della Convenzione di Ginevra del 1951 che alla fine finisce per escludere alcune categorie dei richiedenti asilo dalla definizione del termine rifugiato. Alcuni paesi concedono a coloro i quali è stato negato lo status di rifugiato la possibilità di permanere nel territorio nazionale ma con uno status giuridico inferiore a quello previsto dalla Convenzione di Ginevra, come lo “status B”, o “status umanitario” o un “permesso straordinario di permanenza”, il che senza dubbio riduce considerevolmente gli obblighi degli Stati ospiti nei confronti dei rifugiati, come ad esempio il diritto al ricongiungimento familiare e all’emissione dei documenti di viaggio previsti dalla Convenzione.

4.      L’adozione di misure «detentive», sempre più applicate, che consistono nell’invio automatico dei richiedenti di asilo in centri chiusi, che ad esempio in Italia sono denominati CPT (Centro di Permanenza Temporanea) o CdI (Centro di Identificazione). Il problema più grave è che, nei paesi dove non esiste nessun progetto di integrazione sociale e di libertà di movimento, tali centri assumono le vesti di vere e proprie prigioni.

2.    Le misure di armonizzazione delle politiche comunitarie in materia di immigrazione e asilo

“Si preannuncia la fine di una era in cui la forma per la quale lo stato trattava i suoi cittadini era concepita come un problema di giurisdizione interna, ristretto nel dominio riservato allo Stato, derivante dalla sua sovranità, autonomia e libertà”

                                                Flavia Piovesan

              

Già all’inizio degli anni Ottanta gli Stati membri dell’Unione europea iniziarono gradualmente ad armonizzare le loro politiche in materia di immigrazione e riconoscimento del diritto di asilo. Vennero promossi i seguenti accordi:

·        Atto unico europeo del 1986

Attraverso tale Atto gli Stati membri della allora Comunità europea s’impegnavano a creare, entro il 1992, un mercato unico con libera circolazione al suo interno di persone, merci, servizi e capitali. Delle libertà di circolazione previste, quella delle persone non è stata semplice da realizzare come si era pensato…

·        Convenzione di Dublino del 1990

Entrata in vigore per tutti gli Stati dell’Unione il 1° settembre 1997, la Convenzione di Dublino solo dal 18 febbraio 2003 è parte integrante del diritto comunitario europeo, attraverso il regolamento n° 343/2003, denominato Dublino II. Il suo principale scopo è definire i requisiti comuni che determinano quale Stato sia competente a esaminare una richiesta di asilo, al fine di evitare l’esistenza dei c.d “rifugiati in orbita”, vale a dire i richiedenti asilo che transitavano da uno Stato all’altro, senza che nessun paese si dicesse tenuto ad accoglierlo.

La Convenzione di Dublino si propone inoltre di affrontare altri fenomeni relativi alle richieste dello status di rifugiato, quali ad es., le “richieste multiple”, vale a dire le domande di riconoscimento dello status di rifugiato avanzate in diversi paesi contemporaneamente, come pure il c.d. “forum shopping”, che consiste nella scelta del paese di protezione secondo la convenienza personale dei richiedenti.

La Convenzione permette anche che ogni Stato membro decida, secondo la sua legislazione nazionale, se rinviare o no un richiedente asilo in uno Stato esterno all’UE. Al fine di determinare il paese competente ad esaminare una richiesta di asilo sono state istituite le c.d. Unità di Dublino che, mediante un costante interscambio di informazioni, dovrebbero essere in grado di identificare il primo paese dove è stata fatta una richiesta di asilo. Tuttavia non è stata prevista alcuna autorità superiore che sia in grado di dirimere le controversie che sorgono su casi specifici.

·        Convenzione di Schengen del 1990

Gli accordi di Schengen prevedono:

1.    Un graduale processo di armonizzazione e di creazione di una politica comune dei visti d’ingresso nell’UE così come previsto dalla Convenzione di Applicazione dell’accordo di Schengen;

2.      Il rafforzamento delle procedure di controllo delle frontiere comuni esterne e allo stesso tempo la soppressione dei controlli alle frontiere interne dell’Unione, con lo scopo di affermare la piena libertà di circolazione nell’insieme dei territori di tutti gli Stati firmatari degli Accordi di Schengen, istituendo il c.d. Spazio Schengen.

La Convenzione entrò in vigore il 1° settembre 1993 e fu effettivamente adottata dagli Stati membri nel marzo del 1995. Tutti i paesi della UE aderirono agli accordi tranne Danimarca, Irlanda e Regno Unito.

·        Trattato di Amsterdam del 1997

Il Trattato di Amsterdam fu firmato il 2 ottobre 1997 ed entrò in vigore il 1° maggio 1999. Esso prevedeva l’impegno degli Stati firmatari a elaborare, nel giro di cinque anni, una politica comune in materia di immigrazione e asilo. Il Trattato intendeva segnare una svolta nel passaggio dalle politiche intergovernative del passato a un compiuto diritto comunitario.

·        Il Consiglio europeo di Tampere, 1999

Riunitisi straordinariamente nella città di Tampere (Finlandia), nel mese di ottobre del 1999, i capi di Stato dell’UE si proposero di istituire un sistema comune europeo sul diritto di asilo, “basato sulla applicazione piena e integrale della Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati, allo scopo di garantire che nessun richiedente lo status di rifugiato sia rimandato in un paese nel quale corra il rischio di essere perseguitato”, sancendo in tal modo il principio del non respingimento (non refoulement).

·        Il regolamento del Consiglio dei Ministri della UE n. 2.725/2000

Tale regolamento ha istituito l’Eurodac, che è la banca dati che permette agli Stati dell’UE di confrontare le impronte digitali dei richiedenti asilo e dei migranti irregolari che entrano nel territorio europeo. Oggi è utilizzato per facilitare l’applicazione della Convenzione di Dublino, aiutando a determinare quale sia lo Stato membro competente a esaminare una richiesta di asilo, ossia, identifica il primo stato di arrivo del richiedente asilo.

·        La Direttiva 55 del 30 luglio del 2001

Tale Direttiva verte “sulle norme minime per la concessione di protezione temporanea in caso di flussi massicci di profughi, e inoltre sul coordinamento tra le strategie degli Stati membri che ricevono i profughi e sopportano le conseguenze del loro accoglimento[2].

·        Direttiva europea n. 9 del 27 gennaio del 2003

Stabilisce “norme minime relative all’accoglienza di richiedenti asilo per gli Stati membri”. Essa prevede disposizioni specifiche sull’accoglienza e l’assistenza sanitaria ai rifugiati, stabilendo norme specifiche nel trattamento dei bambini, delle donne e dei disabili fisici e mentali. Inoltre si stabilisce il diritto di ricorrere alla giustizia comune contro il rifiuto di concedere lo status di rifugiato.

·        Direttiva europea n. 83 del 29 aprile del 2004

Prevede norme minime sulla attribuzione dello status di rifugiato ai cittadini di paesi non membri dell’Unione e agli apolidi nonchè procedure alternative di protezione per le  persone bisognose di protezione internazionale che non rientrino nella categoria di rifugiato, come ad es., la c.d. protezione “sussidiaria” per coloro che pur non rientrano nella categoria di rifugiato non possono comunque far ritorno nel proprio paese d’origine senza correre il pericolo di subire un “grave danno”.

È interessante sottolineare che questa Direttiva ammette che lo status di rifugiato possa essere riconosciuto anche ai richiedenti asilo vittime di persecuzioni attuate da agenti non statali (Art. 6).

·        Direttiva europea relativa agli standard minimi sopra la procedura per la concessione e la revoca dello status di rifugiato

Nel dicembre 2004, dopo intense discussioni, il Consiglio della UE – GAI (“Giustizia e Affari Interni”) ha raggiunto un consenso politico sul testo di questa direttiva. Tra i principali problemi sui quali è stato difficile raggiungere uno standard comune sulla procedura del riconoscimento dello status di rifugiato possiamo considerarne due in particolare: 1. la preocupazione di alcuni paesi di non fare passi indietro in relazione alle norme già adottate nel proprio territorio; 2. la difficoltà di creare una lista condivisa dei chiamati “paesi terzi sicuri”.

Nel che riguarda a questo ultimo aspetto della direttiva sono numerose le organizzazioni per i diritti umani che hanno protestato poiché considerano il concetto di “paese terzo sicuro”  come un tentativo degli stati di ridurre la responsabilità per la protezione dei rifugiati, trasferendo l’obbligo di proteggerli  a paesi diversi rispetto a quelli dove originariamente è pervenuta la richiesta e senza verificare se gli interessati possano correre rischi per la loro incolumità fisica e psicologica nel c.d. “paese terzo sicuro” .

Si può argomentare, ancora, che la possibilità del non rispetto del diritto di ogni richiedente asilo di ottenere un esame (giusto ed equo) della propria domanda, favorisce che egli sia inviato ad un “paese terzo” dove rischia di essere torturato o sottomesso ad altre violazioni dei diritti umani e persino di essere respinto verso il suo paese di origine, fatto che viola il principio del “non refoulement” così come nobilmente consacrato dalla Convenzione di Ginevra del 1951 e da altre norme internazionali e comuitarie.

      3.Osservazioni conclusive

“... Erano in 37 sulla Cap Anamur. Finiti in un ping pong tra paesi e legislazioni, 36 sono stati espulsi. Benjamin Robat è l’unico ad avere ottenuto lo status di profugo in Italia. Ma non ha casa né soldi”

                                                                                 Di Pablo Trincia

Indubbiamente la Convenzione di Ginevra è lo strumento riconsiuto universalmente come la guida dell’insieme delle politiche internazionali, regionali e nazionali di protezione dei diritti dei rifugiati e dei richiedenti asilo. Tuttavia è assolutamente necessario riconoscere che la Convenzione non contempla nel suo tessuto tutte le vicissitudini proprie dei richiedenti asilo. Questioni essenziali non sono state previste, quali ad es., il ricongiungimento familiare prima e dopo il riconoscimento dello status di rifugiato, le procedure di accesso alla richiesta di concessione dello status di rifugiato, le misure specifiche sulle necessità delle donne e dei bambini e sulla protezione dei rifugiati che arrivano in massa, senza parlare della necessità di riconsiderare la stessa definizione del termine di rifugiato.

Molti paesi firmatari della Convenzione di Genevra hanno adottato politiche che nei fatti omettono i principi fondamentali previsti nella medesima, attraverso la creazione di procedure restrittive come la detenzione in luoghi chiusi di richiedenti asilio, o la c.d.“protezione umanitaria” (“status B”, “protezione temporanea”), l’invio forzato dei richiedenti di asilo a “paesi terzi sicuri”. Tali comportamenti - anche difformi tra i diversi paesi - sono dipesi dal fatto che la Convezione medesima è carente nel definire con precisione e completezza le procedure e norme idonee ad affrontare le diverse fattispecie e realtà sottese alle richeste di asilo.

In riferimento alla politica europea, nonostante l’impegno dei paesi membri a rendere effettivo il Trattato di Amsterdam, il processo di armonizzazione legislativa in materia di asilo procede con incompletezze e molto lentamente.

I rifugiati nel territorio della UE rappresentano una minoranza (1,7 milioni), considerando che il continente africano e quello asiatico accolgono la maggioranza di questo fenomeno, avendo nei propri territori rispettivamente 3,5 e 9 milioni di rifugiati.

Come magistralmente ha sostenuto Erica Feller, avremmo già dovuto lavorare per una rivitalizazione della Convenzione di Ginevra, mantenendo i suoi punti nodali, però rafforzandoli con politiche procedurali chiare per renderli effettivi, stabilendo misure di protezione addizionale, come le misure speciali per le donne, gli anziani e i bambini, per il rincongiungimento familiare, anche al momento della richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato. Altresì dovrebbe essere meglio articolato il preambolo della Convezione, principalmente rispetto alla cooperazione internazionale, in modo da superare, ad es., le norme della Convenzione di Dublino che non prevedono il ricongiugimento familiare dei richiedenti asilo appatenenti ad una stessa famiglia che non ragiungano insieme lo stesso territorio della UE e sono costretti a vivere separati mentre aspettano la valutazione della loro richiesta di asilo.

Il sistema internazionale di protezione dei rifugiati non è un corpo statico, come non lo sono le leggi internazionali sulla protezzioni dei diritti umani. Mezzo secolo dopo l’approvazione della Convenzione di Ginevra, il mondo si presenta molto più dinamico e complesso, il che rafforza la necessità di adattare e rivitalizzare la Convenzione del 1951, per non farla divenire carta morta, con l’obiettivo di non lasciare spazio a interpretazioni minimaliste dei diritti dei rifugiati e richiedenti asilo. Rispetto a tutta questa vincenda, sicuramnente possiamo utilizare il saggio commento dell’imperatore Adriano della Yourcenar: “Ogni legge trasgredita troppo spesso è cattiva; spetta al legislatore abrogarla o emendarla, per impedire che il dispregio in cui è caduta quella stolta ordinanza si estenda ad altre leggi più giuste”.

Riferimenti bibliografici

ARENDT H. (1943), Noi Profughi, in Ebraismo e Modernità, a cura di Giovanna Bettini, Feltrinelli, Milano.

BENVENUTO LIMA JR. J. (2002), Manual de Direitos Humanos Internacionais. Acesso aos Sistemas Global e Regional de Proteçao aos Direitos Humanos, Loyola, Sao Paulo.

BOBBIO N. (1992), A era dos direitos, Trad. di Carlos Nelson Coutinho, Campus, Rio de Janeiro.

CASSESE A.(2000), I diritti umani nel mondo contemporaneo, Laterza, Roma-Bari.

FELLER E. (2000), The Convention at 50. The way ahead for refugee protection, in “Forced Migration Review”, n. 10.

HABERMAS J. (1992), Morale, Diritto, Politica, a cura di Leonardo Ceppa, Giulio Einaudi, Torino.

I RIFUGIATI NEL MONDO. Cinquant’anni di azioni umanitarie (2000), Resp. Versione italiana Laura Boldrini, UNHCR, Londra.

MEDURA – Rivista di RelazionInternazionale, Anno I – Numero 2 – giugno 2004.

PRAKASH SINHRA S. (1971), Asylum and International Law, Martinus Nijhoff, The Hague.

RIFUGIATI IN ITALIA: LA PROTEZIONE NEGATA (2005), Primo Rapporto sul Diritto d’asilo in Italia, ICS – Consorzio Italiano di Solidarietà.


 

[1] Coordinatore Stefano Anastasia.

Tutore: Gennaro Santoro

[2] L’Italia aveva già introdotto da alcuni anni l’istituto della protezione temporanea.

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