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Nuove intese tra Italia e Libia - Ancora sulla pelle dei migranti, meltingpot.org, 01/09/08

Nuove intese tra Italia e Libia - Ancora sulla pelle dei migranti

di Fulvio Vassallo Paleologo - Università di Palermo

L’ultimo accordo politico stipulato in Libia il 30 agosto scorso tra Berlusconi e Gheddafi non costituisce certo una novità. Il 19 gennaio 2007, commentando i dati degli arresti in Libia dei candidati all’immigrazione clandestina, il Ministro degli interni Giuliano Amato parlava di “buoni frutti” della collaborazione tra Italia e Libia. Pochi mesi dopo, l’ 11 giugno 2007, lo stesso Ministro arrivava a chiedere la partecipazione della Libia ai pattugliamenti aeronavali congiunti dell’agenzia Frontex nel Canale di Sicilia, per “impedire l’uscita dai porti delle navi”. Alla fine del 2007, tra la Libia e l’Italia si era giocata una partita diplomatica che aveva prodotto i risultati da tempo auspicati dai diversi governi italiani, prima da Berlusconi e da Pisanu, poi da Prodi, D’Alema e Amato. Otto anni dopo l’avvio delle prime trattative con il colonnello Gheddafi, l’Italia ha siglato un accordo politico globale con la Libia che include anche un capitolo specifico per combattere l’immigrazione clandestina. Finora si era trattato solo di intese operative, a livello di forze di polizia, adesso quelle stesse forze di polizia ottengono dai politici la formalizzazione e la legittimazione delle prassi “riservate” seguite fin qui, con l’aggiunta di mezzi e personale che dovrebbero migliorare “l’efficienza” degli interventi di contrasto. Si può comunque continuare a dubitare che questo ultimo accordo si sottragga alla tecnica della rinegoziazione continua imposta dal colonnello Gheddafi. Sulla pelle dei migranti, naturalmente.

L’Italia si era preparata da anni, passo dopo passo, per il sostegno del governo libico nel “contrasto dell’immigrazione irregolare”, con una politica di piena continuità tra i diversi governi che si erano succeduti nel tempo. Nel 2004 veniva promulgata la legge n. 271, che attribuiva al Ministero dell’Interno la possibilità di finanziare la realizzazione, in paesi terzi, di “strutture utili ai fini del contrasto di flussi irregolari di popolazione migratoria verso il territorio italiano”. I finanziamenti elargiti dall’Italia non sono stati mai legati al rispetto dei diritti dei migranti o alla ratifica della Convenzione di Ginevra sul diritto d’asilo, né alla conformità delle strutture di trattenimento agli standard minimi internazionali per la detenzione. Con i fondi stanziati grazie a questa legge, in Libia, negli anni sorsi, erano stati finanziati almeno tre centri di detenzione per migranti, dove le violazioni dei diritti umani sono sistematiche, come confermato da Amnesty International e da Human Rights Watch.

A confermare gli abusi non sono state solo le organizzazioni che difendono i diritti umani o i giornalisti che hanno potuto visitare la Libia, ma i vertici dei servizi segreti italiani, come l’ex direttore del SISDE Prefetto Mario Mori. Nel 2005, durante una audizione del Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti, Mori dichiarava come in Libia “i clandestini vengono accalappiati come cani, messi su furgoncini pick-up e liberati in centri di accoglienza dove i sorveglianti per entrare devono mettere i fazzoletti intorno alla bocca per gli odori nauseabondi...”. Mori parlava anche del centro di accoglienza finanziato dagli italiani in Libia, nella località di Seba, al confine con il deserto, uno di quei centri di detenzione dove venivano trasferiti anche i clandestini respinti dai centri di permanenza temporanea italiani.
“Il centro - dichiarava Mori - prevede di ospitare cento persone ma ce ne sono 650, una ammassata sull’altra senza il rispetto di alcuna norma igienica e in condizioni terribili. Mori aveva effettuato una visita nel Centro di Seba intorno alla metà di gennaio del 2005, cinque giorni prima dell’incontro del ministro Giuseppe Pisanu con il colonnello Gheddafi. Già in quell’anno cominciavano a confondersi le questioni dell’immigrazione irregolare con il tema della sicurezza internazionale e della lotta al terrorismo. “In questi campi”, concludeva il prefetto, “è alto il rischio di infiltrazione terroristica. Prima di Natale un gruppo ha confessato un progetto di attentato in un hotel di Bengasi frequentato da occidentali”.

Il prefetto Mori anticipava già nel 2005 poi la grave “emergenza clandestini” che sarebbe esplosa da lì a poco tempo. “Nelle ultime due settimane i libici hanno fermato sulle loro spiagge almeno cinquemila persone già pronte per partire” e infatti nonostante le buone condizioni del tempo gli arrivi sono stati quasi azzerati. “Ma tra poco – annunciava il prefetto - ci sarà una nuova emergenza, in primavera. I motivi sono sotto gli occhi di tutti: carestia e siccità nel Sael, Niger e Ghana, spingono centinaia di migliaia di persone verso le coste del Mediterraneo. La frontiera marocchina è quasi chiusa dopo i morti di Ceuta. E in Libia le organizzazioni criminali sono sempre più strutturate e organizzate”. Una situazione che lo stesso Mori definiva allora come “esplosiva”. E non certo per il numero dei migranti che potevano raggiungere l’Italia, appena un decimo del totale degli immigrati irregolari che annualmente entra nel nostro paese.

Nel 2006, mentre cresceva in maniera esponenziale il numero delle vittime dell’emigrazione clandestina, continuavano i contatti tra la Libia e l’Italia per superare l’antico contenzioso post-coloniale ed instaurare più proficui rapporti commerciali, ridefinendo le frontiere meridionali dell’Unione Europea con la esternalizzazione dei centri di detenzione amministrativa e delle pratiche di espulsione collettiva. L’Italia è stato il paese europeo che si è maggiormente impegnato per la rimozione dell’embargo contro la Libia, dimostrando da questo punto di vista una totale continuità di politica estera, dal Governo D’Alema nel 1999, al Governo Berlusconi ed al Governo Prodi, poi, ed oggi ancora al Governo Berlusconi, malgrado la dialettica parlamentare evidenzi contrapposizioni che appaiono più rivolte alla ricerca del consenso elettorale, che ad una diversa impostazione dei problemi.

La stipula dell’accordo tra Italia e Libia , giunta alla fine del 2007 pochi giorni la conclusione del vertice europeo di Lisbona, non stupiva più di tanto. Malgrado il progetto francese di una Unione Euromediterranea, fortemente contrastato proprio da Gheddafi, tutti i paesi comunitari nel corso del 2008 hanno intensificato le politiche tendenti alla stipula di accordi bilaterali. In testa a tutti la Spagna di Zapatero. I diritti umani vengono evocati ormai come un richiamo formale, se non vera e propria merce di scambio, di intese che nei fatti ratificano sfruttamento ed abusi, oltre che stravolgere consolidati principi di diritto internazionale del mare. Tutto si giustifica in nome della “lotta all’immigrazione clandestina”. Da una parte all’altra del mondo, si continua a puntare su regimi privi di una qualsiasi legittimazione democratica, per “garantire la pace” nelle relazioni internazionali e la sicurezza interna, oltre, naturalmente, i profitti delle multinazionali. Con quali risultati è possibile per tutti, oggi, verificare.

L’allarme terrorismo si è da tempo esteso all’Africa settentrionale e ovunque si registra una “alleanza di fatto” ( malgrado dichiarino di combattersi a vicenda) tra le organizzazioni terroristiche e i fondamentalismi di stato, come si è già verificato in Egitto ed in Algeria, a danno della società civile, degli studenti, dei docenti universitari, degli operatori dell’informazione, degli avvocati, dei magistrati e di tutti coloro (anche esponenti politici) che in quei paesi lottano per la pace e la democrazia, attraverso la giustizia sociale, senza aspettare che siano le armi e le divise ad imporle. Le pratiche poliziesche di extraordinary rendition, o di espulsione per motivi di sospetto terrorismo, che l’Italia ha continuato a praticare fino a pochi mesi fa, malgrado le condanne inflitte dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo, hanno consentito la esternalizzazione della tortura, e l’arresto arbitrario di migranti, altra merce di scambio che alcuni paesi di transito, dal Marocco alla Tunisia ed all’Egitto in Africa, ma anche altrove, utilizzano per accreditarsi come partner affidabili dei governi europei.

Il recente rapporto Hammarberg del Consiglio d’Europa condanna senza appello le politiche di espulsione sommaria praticate dall’Italia negli ultimi anni, ed è allarmante che nessuno in Italia abbia ripreso le durissime critiche rivolte al nostro paese.

Le politiche di contrasto, tanto del terrorismo che dell’immigrazione clandestina, rischiano di confondersi sempre di più. Ma la Libia presenta altre particolarità, che non andrebbero trascurate, perché non si tratta di un paese di emigrazione, ma soltanto di transito, ricco di risorse naturali e finanziarie, in certi periodi anche un paese che ha bisogno dell’immigrazione, uno stato che, dopo la riabilitazione americana, e le promettenti offerte della diplomazia europea, può permettersi di negoziare da posizioni di forza con qualunque interlocutore malgrado gli allarmanti rapporti delle agenzie umanitarie sul rispetto dei diritti delle persone in quel paese.

La legittimazione “globale” del colonnello Gheddafi dopo il vertice di Lisbona del dicembre 2007 ed il suo viaggio in Francia e in Spagna agli inizi di quest’anno, lasciavano facilmente prevedere una intensificazione dei rapporti già esistenti di collaborazione con i paesi europei nel contrasto dell’immigrazione clandestina, e con l’Italia di Berlusconi, Frattini e Maroni in particolare, senza troppo riguardo per quei principi elaborati a livello europeo che dovrebbero imporre in questo ambito standard più elevati per la protezione dei diritti umani.

Già dal 2003, peraltro, l’Italia aveva concluso e praticato con la Libia intese operative, come quelle che tra il 2004 e il 2005 avevano supportato le operazioni di rimpatrio dalla Libia verso numerosi paesi di origine dei migranti e, tra le altre, le deportazioni collettive da Lampedusa, malgrado la condanna del Parlamento Europeo e della Corte Europea dei diritti dell’Uomo. E sono noti da tempo casi ( ancora) isolati di respingimento in mare di imbarcazioni cariche di migranti, praticato da unità militari italiane, verso i porti libici . Non sappiamo adesso se le intese raggiunte tra Berlusconi e Gheddafi consentiranno il pattugliamento congiunto in acque libiche per respingere verso terra le imbarcazioni cariche di migranti subito dopo la partenza, oppure se tale compito di interdizione sarà effettuato in acque internazionali al confine con le acque territoriali libiche (sulla cui estensione non si è mai raggiunta alcuna intesa).

In base ai trattati internazionali, di certo, per quanto riguarda il pattugliamento congiunto nelle acque internazionali, al di fuori dei casi di terrorismo, pirateria ed inquinamento ambientale, solo da parte dello stato di bandiera (o con la autorizzazione dello Stato di bandiera) si può esercitare un potere di interdizione della navigazione di una imbarcazione carica di migranti irregolari. A meno che non si ottenga l’autorizzazione preventiva dello stato di bandiera, o che l’imbarcazione sia priva di segnali identificativi.

Nessuna norma di diritto internazionale del mare autorizza dunque uno Stato come l’Italia o la Libia ad esercitare poteri di blocco navale su imbarcazioni sospettate di trasportare migranti irregolari nelle acque internazionali Le prescrizioni eventualmente derivanti da direttive comunitarie, come quella che nel 2004 ha istituito l’Agenzia di controllo delle frontiere esterne Frontex, o la attuazione di Accordi internazionali come il Protocollo aggiuntivo alla Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale relativo al traffico clandestino di migranti, non intaccano questi principi, autorizzando soltanto il diritto di visita in acque internazionali nel caso di nave senza nazionalità o non battente una bandiera di stato. Non si ha peraltro notizia ufficiale di operazioni di “respingimento in mare” compiute nel 2008 da unità utilizzate dall’Agenzia europea FRONTEX nelle acque del canale di Sicilia. In qualche caso sono stati comandanti di pescherecci di diversa nazionalità che, per non essere coinvolti in delicate questioni di diritto, o per non essere sottoposti a processo, hanno riportato indietro il Libia migranti salvati nelle acque del Canale di Sicilia. Salvati per essere respinti verso l’inferno dal quale erano fuggiti.

Malgrado i tentativi di “collaborazione”, a partire dai rimpatri collettivi da Lampedusa nell’ottobre del 2004, era sempre mancato un accordo politico globale e sui rapporti Italia- Libia pesavano soprattutto le questioni irrisolte del contenzioso coloniale e le tante promesse mancate da parte del nostro paese per la fornitura di infrastrutture e di armamenti, Alla fine del 2007, dopo mesi di trattative riservate condotte dai più alti vertici del ministero dell’Interno, sulle quali si è taciuto persino in Parlamento, di fronte a diverse interrogazioni parlamentari che chiedevano di fare chiarezza sui rapporti tra la Libia e l’Italia, si era giunti soltanto alla firma di un “protocollo d’intesa” da parte del ministro Amato e del suo omologo libico. Venivano istituite, almeno sulla carta, centrali operative e sistemi di monitoraggio comuni per contrastare l’immigrazione clandestina, con il dispiegamento di unità militari italiane in acque libiche a ridosso della costa, per adesso sei imbarcazioni della Guardia di Finanza, tra le più avanzate tecnologicamente, che opereranno con equipaggi misti per respingere i migranti verso i porti di partenza. Esattamente gli stessi contenuti sbandierati adesso da Berlusconi dopo il viaggio in Libia di sabato 30 agosto.

Il Protocollo firmato a Tripoli nel dicembre del 2007 prevedeva inoltre che l’Italia assumesse ulteriori iniziative a livello europeo per rinforzare i dispositivi di “guerra all’immigrazione illegale” come l’agenzia FRONTEX . Secondo quanto si apprendeva dai giornali che hanno fedelmente riportato le veline dei comunicati ufficiali, “la direzione e il coordinamento delle attività addestrative ed operative di pattugliamento marittimo vengono affidati ad un Comando operativo interforze che sarà istituito presso una «idonea struttura» individuata dalla Libia. Il responsabile sarà un «qualificato rappresentante» designato dalle autorità libiche, mentre il vice comandante (con un suo staff) verrà nominato dal Governo italiano. Tra i compiti del Comando interforze quello di organizzare l’attività quotidiana di addestramento e pattugliamento; di «impartire le direttive di servizio necessarie in caso di avvistamento e/o fermo di natanti con clandestini a bordo»; di interfacciarsì con le «omologhe strutture italiane», potendo anche richiedere l’intervento o l’ausilio dei mezzi schierati a Lampedusa per le attività anti-immigrazione”. I termini dell’accordo di dicembre 2007, malgrado il riserbo ufficiale apparivano molto chiari ma non sembra che i risultati pratici abbiano corrisposto alle attese, al punto che si potrebbe persino dubitare che il piano, definito dal prefetto De Gennaro, dalla sottosegretaria Lucidi e dal ministro dell’interno libico, sia stato mai realizzato. Colpa forse della crisi politica che ha cancellato il governo Prodi costringendo Gheddafi e Berlusconi ad una ulteriore trattativa, questa volta con la posta ancora più alta. Adesso comunque quell’accordo viene riproposto negli stessi termini sostanziali, per quanto si apprende dalle agenzie, ma con una significativa differenza. Questa volta l’accordo sull’immigrazione che prevede la costruzione da parte di Finmeccanica di un sistema di controllo radar e satellitare sulle frontiere meridionali del Paese sarà finanziato con una enorme quantità di danaro che l’Italia dovrà versare per venti anni alla Libia. Verrebbe da chiedersi, come fa la stampa francese, perché risarcire solo la Libia e non anche Etiopia ed Eritrea, altre vittime della politica coloniale voluta dal fascismo. Si osserva che Berlusconi ha scoperchiato un “vaso di pandora” con conseguenze che potrebbero essere devastanti se altri paesi si comportassero come la Libia nei confronti dei passati colonizzatori.

Un accordo globale per la chiusura del contenzioso coloniale. Un fiume di dollari destinato anche ad armare pattuglie congiunte per bloccare le imbarcazioni dei “clandestini” subito dopo la partenza. Sappiamo già cosa significa il “fermo di natanti” in mare, migliaia di morti e ancora processi per i comandanti delle imbarcazioni non militari, autori di interventi di salvataggio. Ed è ben nota la condizione dei migranti restituiti alla polizia libica dopo il respingimento da parte delle autorità italiane. Sembra comunque assodato che le “intese tecniche” tra militari italiani e libici non erano mai andate a buon fine, come dimostrato dal raddoppio degli sbarchi di migranti in Sicilia nel 2008 , persone per la maggior parte provenienti proprio dalla Libia, con il conseguente aumento esponenziale del numero dei morti e dei dispersi, anche bambini e donne in gravidanza. Gli accordi internazionali sottoscritti da Prodi e Amato nel 2007 e da Berlusconi oggi, con Gheddafi, dovrebbero rientrare tra gli accordi che sono previsti già nel T.U. sull’immigrazione agli articoli 2, 3 e 21, modificati dalla legge Bossi-Fini, con disposizioni che suscitano ancora gravi sospetti di incostituzionalità perché si tratta di accordi internazionali di indubbia valenza politica e di ingente portata economica che sono sottratti alla ratifica parlamentare prevista dall’art. 80 della nostra Costituzione. Gli stessi accordi, a seconda del loro contenuto, o delle intese operative che ne seguono, possono violare principi consolidati di diritto internazionale . La riammissione, o il respingimento, collettivo, a mare, di migranti verso stati che non garantiscano il rispetto dei diritti umani fondamentali, ovvero nei quali gli interessati possano essere vittime di trattamenti disumani o degradanti, sono tassativamente proibiti dall’art. 3 della stessa Convenzione Europea. Analogamente è vietato il rinvio verso stati nei quali non vi è l’effettiva possibilità di accedere alla protezione prevista dalla Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato, convenzione che la Libia non ha ancora sottoscritto, macigno che non può essere rimosso dal consueto pretesto che lo stesso paese è parte dell’Organizzazione degli stati africani (OUA) il cui statuto richiama quella Convenzione. Del resto è sufficiente verificare la impossibilità per l’ACNUR e le altre organizzazioni umanitarie di assolvere liberamente le proprie funzioni di assistenza come in tutti i paesi firmatari della Convenzione di Ginevra, per cogliere il cinismo di chi in nome del contrasto dell’immigrazione clandestina sostiene argomenti che avallano la cancellazione del diritto di asilo in Libia ed in Italia. Rimane ancora molto concreto il rischio – se non la certezza - che dopo gli interventi di pattugliamento congiunto praticato dalle unità miste italo-libiche si possano verificare vere e proprie espulsioni o respingimenti collettivi verso la Libia e da qui verso i paesi di provenienza. Non meno preoccupanti le prospettive di uno sbarramento delle frontiere meridionali della Libia, zona notoriamente controllata dai gruppi tribali e dalle mafie che trafficano armi, droga e persone. Qualunque legittima intensificazione dei controlli non deve aumentare il potere di ricatto dei gruppi criminali collusi con gli agenti istituzionali. La Libia non è l’Albania, come qualcuno a Roma sembrerebbe credere. E l’immigrazione da est è temporaneamente diminuita perché si è moralizzata la polizia di frontiere e sono venuti meno i fattori di spinta come la crisi balcanica, non certo perché si sono piazzate alcune unità di carabinieri nei porti dell’adriatico o alle frontiere albanesi.

In questi anni si è avuta notizia di migliaia di casi di respingimento di potenziali richiedenti asilo da parte delle autorità libiche, e dopo le parziali ammissioni del Colonnello Mori, sono ormai numerose le testimonianze sulla detenzione amministrativa che viene praticata in Libia senza un effettivo controllo di una autorità giurisdizionale, senza alcuna possibilità di difesa. Migliaia di persone, tra le quali donne e minori sono trattenuti ancora oggi in condizioni disumane, come si è verificato nel caso degli eritrei e degli altri migranti irregolari detenuti nel carcere di Misurata ed in altri luoghi di detenzione, anche fosse scavate nel deserto. I migranti irregolari, anche quelli giunti in Libia per lavorare, attratti dagli inviti del colonnello Gheddafi ai tempi dell’embargo, sono stati poi rastrellati e, utilizzati come merce di scambio. Chi è riuscito a fuggire ha dovuto pagare somme sempre più elevate alla polizia libica. La maggior parte delle giovani donne viene sistematicamente stuprata dai trafficanti o da poliziotti in divisa. Così almeno raccontano la maggior parte delle sopravvissute in fuga dall’inferno libico. E Gheddafi si proclama ancora un campione dei diritti umani e in questa veste ottiene riconoscimenti dalla comunità internazionale. Con questo leader politico e con queste forze di polizia adesso l’Italia ha firmato un vero e proprio accordo politico dopo il protocollo tecnico per la “cooperazione contro l’immigrazione clandestina” già sottoscritto alla fine del 2007. L’art. 3 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo, che vieta trattamenti inumani e degradanti, e l’art. 33 della Convenzione di Ginevra che sancisce il principio di non refoulement avrebbero dovuto impedire la conclusione degli accordi tra Berlusconi e Gheddafi. Ma questi due leader hanno dimostrato da tempo in quale considerazione tengano il rispetto dei diritti umani dei migranti. Gli organismi internazionali preposti alla salvaguardia di queste convenzioni internazionali dovranno denunciare il comportamento del governo italiano.

Al di là del giudizio negativo che si può formulare su un accordo concluso sulla pelle dei migranti, senza alcun riguardo per le categorie più vulnerabili, viene forte il dubbio che i paesi, come la Francia e l’Italia, che stanno investendo risorse ingenti attribuendo a regimi dittatoriali compiti sempre più importanti per bloccare l’immigrazione e per combattere il terrorismo, possano avere fatto male i propri conti, per la inaffidabilità dei partner che non sembrano certo in grado di garantire quanto hanno millantato, ma che intanto prosperano sugli aiuti economici e sulle forniture militari che gli vengono generosamente elargite. Continuando a governare con la violenza clandestina dei servizi segreti e con la repressione di qualunque forma di dissenso. Violenza militare e repressione che possono alimentare negli strati più disperati della popolazione locale, o degli stessi migranti, la base di consenso verso le organizzazioni terroristiche. E’ bene che l’opinione pubblica sia consapevole dei gravissimi rischi che potrebbero essere innescati proprio dalla politica estera seguita dal governo Berlusconi con la Libia.

Gli inviti, assai rari, finora rivolti alla Libia di assicurare un maggior rispetto per i diritti umani, non solo dei migranti, sono finora caduti nel vuoto. Nel corso dei suoi incontri a Parigi, lo scorso gennaio, Gheddafi ha immediatamente smentito Sarkozy quando questi ha affermato di avere trattato, nel suo colloquio con il leader libico, il dossier sul rispetto dei diritti umani in Libia, questione sollevata ancora di recente da Human Rights Watch , e lo stesso atteggiamento infastidito è stato opposto all’amministrazione americana.

Sulla base della esperienza maturata in questi ultimi anni è ben difficile che i nuovi accordi sottoscritti adesso da Berlusconi, malgrado diversi miliardi di dollari sottratti ai cittadini italiani e regalati a Gheddafi, con buona pace per le attese dei cittadini italiani espulsi dalla Libia nel passato, possano produrre gli effetti auspicati dal governo italiano.

Come veniva ricordato in documento dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione dopo le intese tra l’Italia e la Libia alla fine del 2007, “l’accordo italo-libico, per quanto è dato desumere dalle notizie ufficiali diramate dal governo, mancherebbe di ogni effettivo elemento di controllo e di garanzia sulla sorte dei migranti che verranno intercettati e rinviati in Libia. In tal modo, al di là delle dichiarazioni espresse dal Governo italiano relative alle finalità meritorie del contrasto del tragico traffico degli esseri umani, l’accordo pone oggettivamente l’Italia in un pericolosissimo vortice di gravi responsabilità dirette per le violazioni dei diritti fondamentali della persona che in territorio libico potranno essere commesse a danno dei migranti che saranno respinti o arrestati in quel paese”. La stessa incertezza sulla sorte delle persone, sulle vite delle migliaia di uomini, donne e bambini, in prevalenza potenziali richiedenti asilo, che la Libia incarcera in condizioni disumane, lascia morire nel deserto o costringe a fuggire in mare su imbarcazioni fatiscenti, spesso verso la morte, una incertezza che purtroppo diviene sempre più spesso cronaca di tragedie annunciate, può affermarsi ancora oggi dopo l’intesa politica “raggiunta” ( ma rimangono ancora aperte questioni tecniche ed operative…) tra Berlusconi e Gheddafi.

Di fronte alla politica seguita dall’attuale governo italiano in materia di immigrazione ed asilo sembra utopistico persino proporre poche iniziative ragionevoli che potrebbero salvare migliaia di vite, consentire identificazioni certe e tempestive dei clandestini, restituire credibilità ai trattati internazionali e sicurezza ai cittadini ed ai migranti. Ancora di più è necessario, dopo l’accordo politico Berlusconi-Gheddafi, aprire corridoi umanitari che permettano ai potenziali richiedenti asilo somali, eritrei, etiopici, burkinabè, togolesi, nigeriani, e di altri paesi, bloccati in Libia, di essere identificati da operatori internazionali indipendenti . In modo da potere raggiungere legalmente l’Europa e sottrarsi, sia al ricatto delle organizzazioni criminali che al calcolo politico ed alle intese di finto “sbarramento” che si traducono presto in un mercanteggiamento continuo tra gli stati, le forze di polizia e le bande di trafficanti di uomini.

Bisogna poi rilanciare a livello europeo la proposta di aumentare le possibilità di ingresso per ricerca di lavoro, anche in modo da contrastare il lavoro schiavistico, e modificare la disciplina delle espulsioni, effettuando l’allontanamento forzato ed il respingimento nei casi più gravi, solo quando possono essere garantiti i diritti fondamentali della persona, nel rispetto della Convenzione di Ginevra e della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo, con strumenti alternativi che consentano identificazioni certe e possibilità di reinserimento nella legalità (come abbattimento dei divieti di reingresso e forme di regolarizzazione successiva a regime).

Se solo una parte dei cinque miliardi di dollari che Berlusconi ha promesso a Gheddafi nei prossimi anni fosse impiegata in questa direzione, con misure di integrazione e di inclusione sociale, solo in quel caso che oggi appare utopistico, malgrado gli appelli della Chiesa e di molte agenzie internazionali a partire dalle Nazioni Unite, potrebbe garantirsi una maggiore sicurezza ai cittadini ed ai migranti, senza scatenare guerre tra poveri o alzare ancora altre frontiere che uccidono.

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