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Diritti in stato di emergenza. Se l’immigrazione irregolare è solo un pretesto, meltingpot.org, 26/07/08

Diritti in stato di emergenza. Se l’immigrazione irregolare è solo un pretesto

Sembrerebbe l’incubo realizzato, il delirio al potere. La menzogna a regolare la vita di tutti. Sembra ieri che il violento razzismo di Borghezio e l’aggressività xenofoba di Angela Maraventano si potevano liquidare, al di là dell’indignazione del momento, come delle espressioni fanatiche di due isterici che si rendevano ridicoli da soli.
Oggi, invece, la violenza, il razzismo, la xenofobia, il fanatismo, l’isteria, hanno iniziato a dettar legge. A reinventare la legge, a distorcerla, stirarla, usarla dimostrando in maniera incontrovertibile quanto deboli appaiano le tutele offerte da concetti come quello di legalità e di stato di diritto nell’effettivo esercizio della democrazia e dell’eguaglianza sostanziali.

È da molto tempo ormai che il corso delle vicende politiche e legislative del nostro paese (ma in maniera diversa anche dell’intera Europa e del resto dell’Occidente), viene segnato da concetti come ‘emergenza’, ‘ordine pubblico’, ‘sicurezza’, ‘decenza’, ‘pericolo’.
Si tratta, è evidente, di termini dal significato sfuggente, naturalmente plurivoci, arbitrari, soggetti ad assumere contenuti opinabili, soggettivi. Eppure, sempre di più, i pensieri si muovono (o ristagnano) in un’unica direzione, le immagini che arrivano alla mente, quando queste parole vengono pronunciate, sono sempre le stesse.
In maniera conforme e disciplinata abbiamo imparato di cosa bisogna avere paura, cosa deve significare per noi pericolo, di quale tipo di ordine dobbiamo farci difensori, cosa dobbiamo intendere per sicurezza e minaccia alla sicurezza. E ciò è avvenuto nell’unico modo in cui poteva avvenire: non solo al di là di ogni principio e di ogni valore ma anche e soprattutto al di là di ogni razionalità, di ogni dato oggettivo, di ogni controprova, di ogni fatto, di ogni aderenza alla realtà.

La strada che ci ha portati fino a questo punto non è stata certo disegnata da un giorno all’altro. Senza togliere alcun merito al Ministro dell’Interno Maroni - faccia più raffinata e spietata di un partito che ha costruito il suo successo riuscendo meglio degli altri a dislocare l’infelicità collettiva su capri espiatori di volta in volta mutevoli – la storia di questo precipitare nel vaneggiamento affonda le sue radici in tempi e contesti che travalicano di molto quelli dell’ultimo governo italiano.
Da molti anni i paesi più potenti del mondo faticano a trovare fonti di autorità per il loro potere. Troppi di loro stanno affrontando una crisi economica senza ritorno. Il gioco della globalizzazione non ha lasciato vincitori, o almeno non tra coloro che lo avevano allegramente iniziato dettandone le regole e senza curarsi delle conseguenze. Oggi questi governi (intesi in senso lato, al di là delle alternanze tra ‘destre’ e ‘sinistre’ che così poco ormai significano) si ritrovano incapaci di fare fronte anche ad uno soltanto dei problemi che affliggono le loro popolazioni, a tener fede anche ad una soltanto delle promesse che avevano fatto ai loro cittadini.
E allora è arrivato il momento di ingannarli, popolazioni e cittadini, di spaventarli e costringerli a non insorgere contro chi li ha traditi, convincendoli che il traditore è ancora l’unico a poterli proteggere. Proteggere da cosa? Certo non da se stesso né da ciò che non ha i mezzi per affrontare.
Bisogna pertanto inventare il mostro, e di solito chi è più debole e privo di tutele è il miglior candidato per diventarlo. Figurarsi poi se parla una lingua incomprensibile e ha un altro colore della pelle, o anche solo se si veste in modo strano, ha diverse abitudini abitative o cucina alle sei del mattino cose che per l’olfatto nostrano puzzano maledettamente.
E’ questa invenzione e reinvenzione del nemico che oggi sta muovendo il mondo. In suo nome si dichiarano le guerre internazionali e civili, guerre per un fantasma, sangue per una bugia, morte per un’illusione.
Sta succedendo ovunque, dagli Stati Uniti alla Spagna, seppur in maniera declinata diversamente a seconda delle circostanze specifiche.
È una questione di fondo che ha segnato anche la storia dell’Unione europea, di questa nuova entità sovranazionale che ha dovuto riproporre quasi per intero i confini del territorio, della cittadinanza e della mobilità per come erano concettualmente intesi dallo Stato nazionale: come qualcosa che esclude, differenzia e segrega mentre svolge la sua funzione inclusiva, che separa perché non conosce altro modo per unire, che limita perché altrimenti non riesce a proteggere.

In questa situazione generalizzata, è normale che le prerogative delle singole realtà emergano per quelle che sono. Non c’è da stupirsi allora di quel che sta avvenendo in Italia, dove pratiche discriminatorie e apertamente razziste, e la legittimazione dell’abuso e della violenza, si ripetono esattamente con la stessa intensità con la quale accadono negli altri luoghi, solo con una modalità di giustificazione differente, più demenziale. Perché è qui che probabilmente lo spirito critico ha bisogno di meno inganni per cedere, essendo già stato sostanzialmente annientato o irreversibilmente corrotto.

Tutto questo lunghissimo prologo solo per dire che da ieri, in questo paese, è stato proclamato lo stato di emergenza a causa dell’arrivo dei migranti sulle coste. E’ quasi faticoso, in queste condizioni, ripetere ancora una volta che, anche fosse vero che gli ‘sbarchi’ sono più che raddoppiati, tredicimila persone in sei mesi continuano ad essere infinitamente poche rispetto a quelle che arrivano in altro modo sul nostro territorio. Affannarsi a dire che quasi tutte loro sono richiedenti asilo politico, e che stanno quindi esercitando un diritto, principalmente il diritto alla vita che è un diritto inderogabile, che non è negoziabile. E bisogna fare un grande sforzo di volontà per continuare a replicare che, in una società minimamente accettabile, che dovrebbe rispecchiarsi ad esempio nei principi della Costituzione italiana, il problema da porsi dovrebbe essere quello di come evitare che le persone muoiano esercitando questo diritto, di come salvare la vita di tutte quelle migliaia di adulti e bambini che invece non riescono ad arrivare fino in Sicilia o che ci arrivano da cadaveri ancora aggrappati ad una valigia, come è successo ad Agrigento qualche giorno fa.
La logica vorrebbe, per evitare queste morti - più vicine a degli omicidi che a delle disgrazie - che si aprissero dei canali di ingresso legali, tanto più che la necessità di migranti che lavorino sui nostri territori, nonostante la crisi economica in corso, non accenna a decrescere.
Ma la logica sembra l’ultima delle variabili considerate quando si stabiliscono le politiche migratorie italiane.
Se si scegliesse di agire secondo logica, infatti, si dovrebbe innanzituto promuovere una legalizzazione generalizzata delle posizioni dei migranti irregolari, cosa che renderebbe impossibile lo sfruttamento economico delle persone clandestinizzate. Ma, soprattutto, se si agisse secondo logica cosa resterebbe da fare al Ministro Maroni e al governo in carica? (come del resto, senza l’omicidio della donna romana da parte di un rumeno e la proposta di un decreto sicurezza ad hoc, come avrebbero occupato il loro tempo l’allora Ministro Amato o l’allora sindaco Veltroni?).
Di cosa parlerebbero Borghezio e la Maraventano?
Chi potrebbe avere tanta fantasia da immaginarseli mentre dscutono di come riformare il sistema per evitare che i cittadini, sempre più poveri, non stentino più per arrivare alla fine del mese? Di come migliorare le condizioni lavorative perché non si continui a morire di ‘morte bianca’ o alla meno peggio si sopravviva nella più completa precarietà esistenziale? Di come restituire punti di riferimento valoriali in un mondo che sembra averli messi tutti quanti in vendita?
Quali competenze potrebbero mettere in campo questi signori sollecitati su simile argomenti?

Accontentiamoci dello stato di emergenza nazionale sull’immigrazione, non verrà offerto di meglio per sfogare le nostre frustrazioni.
E se questo portasse ad esacerbare ancora di più le tensioni della società difficile in cui abitiamo, se desse una nuova giustificazione alla peggiore arroganza intollerante o ben che vada all’indifferenza cinica e all’auto isolamento con conseguenze gravi o irrimediabili?
Tanto meglio. Profezia che si auto avvera: indovinate a chi verrebbero addossate, anche in quel caso, colpe e responsabilità?

Alessandra Sciurba
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