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Fermiamo le barbarie dei bambini incarcere, di G.Santoro, Liberazione 6/7/07

Nascere in carcere, tra il freddo delle sbarre e delle divise. Trascorrere i primi giorni di vita lontano dalla propria mamma. Una mamma che non ha il diritto di allattare il proprio bambino: lei a Rebibbia, lui in ospedale. È successo il 24 giugno scorso. La magistratura di sorveglianza non fa in tempo a confermare il trasferimento in ospedale della gestante e la donna, ventitreenne straniera in carcere per furto (sei mesi di condanna), ha partorito nell'infermeria del carcere. Trasportata d'urgenza all'ospedale Pertini per accertamenti immediati, la giovane viene subito rispedita fra le mura di Rebibbia, nonostante il neonato sia venuto alla luce con gravi malformazioni congenite.
Appena qualche mese fa, in un'aula del tribunale di Napoli, una bambina di due anni seguiva il processo della madre tra il ghiaccio di toghe, codici e divise. La notizia ha fatto scandalo (per un giorno) perché è girata, contro ogni regola di protezione del minore, la foto di quella bimba che stringeva le sbarre. Una bambina che ha avuto la possibilità di uscire dal carcere di Avellino soltanto per seguire il processo della madre, non per andare in una asilo esterno al carcere o semplicemente per fare una passeggiata senza vedere sole e nuvole a scacchi. Intanto al nido di Rebibbia ci sono attualmente tre donne in gravidanza, un altro bimbo è nato un mese fa (sempre nell'infermeria del carcere). Morale: venti mamme e rispettivi figli in tre stanze sovraffollate.
Queste immagini restituiscono un quadro allarmante del rispetto del diritto all'infanzia e del diritto alla maternità in italia. Si invoca a gran voce la "sacralità della famiglia" per fare crociate contro le coppie di fatto e si lascia un neonato in ospedale senza madre. Ci si inorridisce contro le violenze sui minori e si lasciano bambini dai zero ai tre anni marcire in carcere. E guarda un po', dei circa 45 bambini detenuti nelle patrie galere almeno la metà sono figli di rom e il 90% è figlio di straniere. Intanto i giornali declamano i patti per la sicurezza e il ministro Mastella si preoccupa di prendere le distanze dalla proposta della Commissione Pisapia per abolire l'ergastolo, dimenticando che cattolici della stazza di Dossetti e Moro ne invocavano la soppressione. Ma erano altri tempi.
Oggi, più di ieri, viviamo in un paese che dimentica con troppa facilità le pre-regole del gioco democratico, il rispetto della dignità della persona che dovrebbe essere il "meta valore", come insegna Bobbio, di un sistema democratico. Nessuna maggioranza può decidere di uccidere o torturare un uomo. Nessuno dovrebbe costringere un bambino a trascorrere i primi giorni di vita lontano dalla mamma o a vivere i primi anni di vita dietro le sbarre. Eppure la prima volta che sono entrato in un nido di un carcere (a Bellizzi Irpino) i bambini sono scoppiati a piangere. Da rinchiusi non erano abituati a vedere facce nuove e maschili.
A Roma, per fortuna, non si è ripetuto lo stesso dramma probabilmente perché i bambini di Rebibbia frequentano l'asilo pubblico e il sabato escono dal carcere accompagnati da volontari.
Intanto a Milano è nata una casa famiglia per le madri detenute, senza sbarre e con personale della polizia penitenziaria senza divisa. L'ha promossa la Provincia con la collaborazione dell'istituzione penitenziaria.
Ad Avellino, invece, non esiste nessuna convenzione tra carcere e asili pubblici, e i bimbi sono dentro per 360 giorni all'anno perché gli enti locali e la società civile continuano a dormire, nonostante le denunce e i solleciti dell'associazione Antigone.
Così il diritto all'infanzia cambia a seconda che la detenuta madre venga "spedita" a Milano, Roma o Avellino. Il diritto all'infanzia cambia ancora di più se si tratta del figlio di una rom o di una italiana. Nel primo caso si finisce dentro, col proprio piccolo, anche per un tentativo di furto di telefonino (sic!), nel secondo caso, per fortuna, ciò non avviene anche per reati ben più gravi.
Ormai da un anno alla Camera giace un disegno di legge per la tutela del rapporto tra detenute madri e propri figli. Una legge che permetterebbe di porre fine all'aberrante detenzione di piccoli innocenti. Speriamo che almeno sul diritto all'infanzia il Palazzo si svegli da quel torpore che sta caratterizzando l'attuale legislatura. "Più sociale e meno penale" è un motto proclamato da una eterna minoranza dagli anni settanta in poi. Oggi, anche a sinistra, la propaganda securitaria distorce l'analisi dei mali della nostra società e le possibili soluzioni. La nuova Sinistra, tutta ed unita, deve quindi essere consapevole di questo dramma e deve saper trovare gli strumenti per far capire che soltanto un potenziamento delle politiche sociali può garantire (anche) più sicurezza urbana. Altrimenti la deriva americana della tolleranza zero spazzerà quelle conquiste del dopo guerra che sembravano irreversibili e la dignità della persona umana non sarà più il fondamento e la ragion d'essere dello Stato. Anche se si invoca la famiglia a ogni pié sospinto.

*Coordinatore campagna Antigone-Prc "Il carcere dopo l'indulto"
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