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La guerra degli immigrati, Il Manifesto, 04/07/07

La guerra degli immigrati
Ogni anno sono centinaia gli immigrati che muoiono nel tentativo di raggiungere l'Europa. Cifre che per l'Ue sono simili a quelle di un conflitto
Alberto D'Argenzio
Bruxelles

In un dibattito nel parlamento europeo si parla di morti nel Mediterraneo, di soccorsi e diritto del mare, di risposte europee alle ondate migratorie e l'Italia non si fa vedere. «È stata invitata, ma non ha risposto, non ha dato segnali di vita, sembra che non ci siano più problemi di immigrazione in Italia», afferma ironico Jean Marie Cavada, presidente liberale della Commissione libertà civili dell'Eurocamera. Greci, spagnoli, maltesi, portoghesi, anche un rappresentante della Libia, rimasto in religioso silenzio, in pratica c'erano tutti gli Stati interessati, ma non un delegato di Roma. E non è stata nemmeno l'assenza più rumorosa. Oltre all'Italia non s'è visto nemmeno un rappresentante di Frontex, l'Agenzia per il controllo delle frontiere esterne. Un'agenzia che non frena gli arrivi e non evita nemmeno le tragedie, ma che riceve ogni anno più soldi dai 27. «Ormai ci chiamano con i cellulari dalle barche, è un segnale di disperazione. Ci chiamano per attivare il sistema di salvataggio, e ci chiamano anche i parenti già in Italia, contattati a loro volta da chi è in mare», spiega Paolo Artini dell'Acnur, l'Alto commissariato delle Nazione unite per i rifugiati. Secondo l'Acnur dal primo al 29 giugno sono 210 gli immigrati morti o dispersi nel tentativo di arrivare in Italia o a Malta. La rete Fortress Europe parla invece, per lo stesso periodo, di 118 vittime nel Canale di Sicilia e di altri 28 sulle rotte per la Sardegna. Al di là della discrepanza delle cifre (basate su barche scomparse, morti ripescati, informazioni della stampa e degli organi di controllo) il bilancio rimane comunque comparabile a quello di un conflitto bellico di bassa intensità. «La tendenza è quella di un aumento delle tragedie - insiste Artini - Nessuno parla più dell'imbarcazione scomparsa con oltre 50 persone a bordo a fine maggio, ma quella barca esisteva, è stata fotografata. Ed è rimasta scomparsa». Per il Centro internazionale per lo sviluppo delle politiche migratorie sono 10.000 i morti in mare negli ultimi 10 anni. E con le tragedie ed i controlli non diminuiscono necessariamente gli arrivi. Alle Isole Canarie, dove opera Frontex, si è passati dai 4.700 migranti sbarcati del 2005 ai 32.000 nel 2006, mentre nel Mediterraneo si registra in questi ultimi mesi un bilancio in chiaro-scuro. Da gennaio sono sbarcate sulle coste italiane circa 5.200 persone con una diminuzione del 30% dallo stesso periodo del 2007 (e qui Frontex non lavora). Discorso inverso invece a Malta con gli sbarchi quadruplicati fino ad arrivare a circa 700 migranti, forse anche per «il sempre peggiore stato delle imbarcazioni che permettono viaggi sempre più corti». Non a caso Artini ricorda anche quanto raccontatogli da un somalo partito dalla Libia e arrivato a Lampedusa. Il trafficante di turno, al momento di salpare, mostra la barca al somalo e gli dice: «Questa è la tua barca. Quando ci sali, puoi raggiungere l'Italia, Malta o morire». A lui è andata bene. Altri muoiono ed altri vengono ripescati in mare, ma nemmeno tutti. «Sappiamo di casi di mancato salvataggio - accusa Fulvio Vassallo Paleologo dell'Università di Palermo per questo vanno precisate le regole di salvataggio in mare per le imbarcazioni commerciali. È necessario inserire una clausola di non punibilità per favoreggiamento dell'ingresso clandestino, bisogna farlo nella revisione di Schengen». «È importante assicurare tre passaggi - dice Artini - il soccorso, che deve essere obbligatorio, lo sbarco di chi viene soccorso, che deve avvenire in un porto sicuro, non nel più vicino, ed il post-sbarco, con la creazione di meccanismi di condivisione delle responsabilità tra gli Stati membri», quindi con la ridistribuzione dei richiedenti asilo. Sullo sbarco, tutti sottolineano come il porto sicuro debba essere inteso dal punto di vista della protezione delle persone: «in questo senso la Libia non può essere considerata sicura», dice Artini. E dire che la Ue vuole pure farci dei campi per rifugiati e migranti a Tripoli e dintorni. Rimanendo alla Ue, Thomas Spijkerboer della Vrije Universiteit di Amsterdam inchioda le iniziative dei 27: «Gli sforzi fatti per diminuire il numero di migranti non hanno ridotto il numero di immigrati irregolari, hanno piuttosto spostato le linee migratorie da un luogo ad un alto, generando un maggior numero di vittime alle frontiere esterne della Ue». I dati lo confermano. «Bisogna uscire dalla visione securitaria e meramente repressiva - invita Vassallo Paleologo - di Frattini e della maggioranza degli Stati membri. In questo senso c'è continuità tra il governo Berlusconi e quello Prodi».
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