I Casi

Sex offenders. Che ne รจ dei violentatori, una volta catturati?

di Fiorentina Barbieri e Flavia Fornari*

Il 14 luglio scorso la Camera ha approvato, quasi all’unanimità e con voto segreto, il testo unificato di legge concernente disposizioni in materia di violenza sessuale. Dovrà passare al Senato, dove forse qualcuno tenterà di ripristinare la norma, ora stralciata, sui cosiddetti manifesti wanted, con le foto dei latitanti macchiatisi di questo reato; oppure si riparlerà di castrazione chimica… Alla rapidità del percorso non può non aver contribuito l’attenzione dei media su recenti fatti di cronaca, che hanno riproposto, oscurando le ragioni profonde di un disturbo che è prima di tutto mentale, gli aspetti più morbosi delle azioni di stupro. Non saranno leggi più repressive ad abbattere i numeri dei reati di violenza sessuale, essendo difficile che una patologia così complessa possa venir meno attraverso forme di deterrenza poco efficaci in questi casi.

Ma che ne è dei violentatori, una volta catturati? La maggior parte è in reparti isolati degli istituti, fatta oggetto di disprezzo - o peggio - dagli altri detenuti. Ma ci sono esperienze in Italia che tentano di avviare un percorso di presa di coscienza e rinascita interiore. Nel carcere di Bollate a Milano ne troviamo una pilota in tal senso: la chiamano “deprogrammare” un violentatore, partendo dalla condizione che sia il detenuto stesso a decidere di voler sciogliere il nodo fra sessualità e aggressività. Una volta usciti, i partecipanti al programma si sono ripresentati spontaneamente per proseguire da fuori il percorso.

Tra quelli appena entrati nel programma c’è D., quasi trent’anni, di un paese dell’Est, che per molti mesi ha tentato di farsi trasferire da un carcere del Sud a quello di Bollate. Lui e sua madre ci hanno scritto spesso per chiederci aiuto. D. è arrivato allo sciopero della fame perché sentiva il bisogno di essere sostenuto per uscire dalla sua esperienza precedente. Oggi sta affrontando una sfida difficilissima, ma dimostra che dietro a quelli che molti considerano mostri ci sono individui che desiderano e possono rileggere le proprie azioni per cambiare.

Ciò che a D. è stato consentito ci viene oggi richiesto da N., detenuto nello stesso carcere meridionale. Non potendo andare al sovraffollato Nord, accetterebbe di essere trasferito in una delle carceri pugliesi dove si stanno strutturando esperienze analoghe. Anche lui dal carcere vuole riprogettare la propria vita, studiare, lavorare: sa che è necessario ripensare se stesso per guardare ad altre prospettive quando uscirà. Qualcosa che è nell’interesse di tutti.

*Difensore Civico di Antigone   (Articolo pubblicato su Terra il 16 luglio 2009)