I Casi

Rewind

di Stefano Anastasia e Fiorentina Barbieri

Ne abbiamo già parlato, quest’estate (Quell’errore che ha rovinato tutto, 20 agosto 2009): di Alberto, del suo senso di vuoto e di impotenza che lo avevano ulteriormente rovinato, dopo una vita di errori e la disperazione per ciò che si considera irrimediabilmente perduto. Una volta, ad un direttore di carcere fu chiesta ragione della concessione del lavoro esterno ad un uomo che ne aveva appena maturato il diritto.

In genere, passa molto tempo, anni, per concedere questo “beneficio” a chi, come l’interessato, aveva avuto responsabilità, se pur indirette, nella lotta armata.

Quel direttore aveva risposto che lui e il magistrato avevano ravvisato in quell’uomo ancora intatto il senso della speranza e una coscienza di sé non ancora compromessa dalla sua appartenenza ad un’organica condizione di detenuto: “S. è in quella delicatissima fase - disse - che, se viene oltrepassata, ci si perde per sempre; lo abbiamo capito e abbiamo capito anche che solo noi potevamo evitarlo”. Ne valeva certo la pena, visto che quel detenuto, oggi tutto lavoro e famiglia, ricorda con sofferenza quell’epoca, ma ne ha superato le angosce più profonde.
E’ che le scelte di questo tipo non dovrebbero essere solo di qualche operatore particolarmente coraggioso. I tempi - si sa - sono quelli di politiche che fatalmente finiscono per limitare le opzioni del “trattamento”. Difficile l’esercizio dell’attenzione ad eliminare per quanto possibile i fattori di sfiducia che un detenuto prova in carcere e l’attivazione di stimoli che gli diano modo di riprendere positivamente il controllo della propria vita, senza smarrirne il filo in modo irreversibile.
Alberto ora vuole smetterla: lo sciopero della fame che intende intraprendere “fino alle estreme conseguenze” non sembra un espediente strumentale, ma la determinazione di chi non sente di avere più chances:  quello che da un carcere siciliano ha continuato a chiedere per mesi è un avvicinamento alla famiglia, in Abruzzo, dove il suo bambino e la sua compagna potrebbero dargli sostegno, qualche speranza.
Non importa come si sia comportato nel suo passato detentivo: per quello ci sono state pene e sanzioni. Accertato il passato, la pena dovrebbe rivolgersi al futuro: chi ne ha la responsabilità dovrebbe decidere se a fine pena vogliono restituire alla società un uomo o una larva. Serve che la pena sia gestita con il rispetto della sua umanità, che chi vi è sottoposto possa ritrovare il filo del racconto della sua vita e … riavvolgerlo, almeno in parte, senza arrivare ad un punto di non ritorno.