I Casi

Il prezzo dell’incuria

di Stefano Anastasia e Fiorentina Barbieri

Lungamente atteso, l’ultimo giorno Nelson Mandela ha attraversato il terreno di gioco dello stadio di Johannesburg, dove Spagna e Olanda stavano per scontrarsi nella finale del mondiale sudafricano. Un sorriso e un saluto ai presenti e a quel miliardo di persone che lo guardavano in televisione. Tra le imprese di quest’uomo, i suoi 92 anni, nonostante quasi un terzo della sua vita l’abbia passata in carcere. Non c’è bisogno della violenza per essere degradato, anche fisicamente, in carcere. Bastano gli spazi, i tempi, i modi di vita. E l’incuria. Lungamente atteso, l’ultimo giorno Nelson Mandela ha attraversato il terreno di gioco dello stadio di Johannesburg, dove Spagna e Olanda stavano per scontrarsi nella finale del mondiale sudafricano. Un sorriso e un saluto ai presenti e a quel miliardo di persone che lo guardavano in televisione. Tra le imprese di quest’uomo, i suoi 92 anni, nonostante quasi un terzo della sua vita l’abbia passata in carcere. Non c’è bisogno della violenza per essere degradato, anche fisicamente, in carcere. Bastano gli spazi, i tempi, i modi di vita. E l’incuria. Di incuria, forse, è morto il 30 giugno scorso Hugo Cidade, 54 anni, argentino, detenuto nel carcere romano di Rebibbia Nuovo complesso. Le indagini sono in corso. Il pubblico ministero ha sequestrato la cartella clinica e ha nominato un perito medico-legale, come hanno fatto anche i parenti e i congiunti. Non c’è ancora alcun elemento certo, salvo la prima evidenza secondo cui Hugo sembra che sia morto per una emorragia interna causata da una cirrosi epatica che lo stava corrodendo da tempo.
Negli ultimi due mesi si era aggravato e aveva cominciato a fare il pendolare tra il carcere e l’ormai famigerato reparto penitenziario dell’Ospedale “Sandro Pertini” di Roma, dove – appunto – a seguito del primo ricovero d’urgenza e di un intervento tampone all’esofago gli hanno diagnosticato la cirrosi e l’avevano quindi messo in lista d’attesa per un trapianto di fegato. La morte arriva al rientro in Istituto dopo un secondo ricovero per un controllo e un nuovo piccolo intervento: transito in infermeria; una voce all’amico-compagno di reparto, occasionalmente dirimpettaio («domani torno da voi»); poi la crisi notturna e la fine. Tra le carte pendenti e ormai archiviate, insieme con quella richiesta di trapianto, l’istanza di sospensione della pena per motivi di salute, recentemente presentata dalle sue legali al giudice di sorveglianza.
L’autopsia, le perizie e gli ulteriori accertamenti disposti dalla Procura ci diranno se vi siano state responsabilità penali nella morte di Cidade. Lontana nel tempo, invece, è quella ripetuta prescrizione di una ecografia al fegato che con alcuni anni di anticipo avrebbe potuto far sapere a Hugo, ai suoi medici e ai suoi cari, la gravità della situazione. Quella ecografia, invece, non è mai stata fatta, fino al ricovero del maggio scorso. Ecco l’incuria: in libertà siamo liberi di adempiere o no alle prescrizioni diagnostiche del medico; in galera si dipende per tutto, anche nella tutela della salute, dalle urgenze dell’istituzione e dalla sensibilità dei suoi operatori. Evidentemente, prima della crisi di maggio, quegli esami per Hugo non erano “urgenti”. Dopo si sono rivelati tardivi.