I Casi

Dalle stelle alle …

di Fiorentina Barbieri

Noi le vicende umane dei detenuti nelle carceri italiane cerchiamo di seguirli, monitorandone i percorsi burocratici e chiedendone ragione. Le risposte del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria sono spesso elusive, generalmente convenzionali: gli uffici replicano con formule di attesa, spesso le cose restano uguali e incomprensibili i criteri di valutazione adottati: così ultimamente, anche in questa rubrica, ci capita di “restare sul caso”, di non mollare la presa.
Come per Alfredo, di cui abbiamo scritto poco più di un mese fa: 69 anni, italiano, 4 bypass e patologie collaterali; in estate era stato trasferito da Rebibbia ad un altro istituto, piccolo, sovraffollato e non attrezzato per le terapie a lui necessarie. Il suo processo, che si doveva tenere in una città solo un po’ più vicina alla sede penitenziaria di destinazione, poi non si era più celebrato, lui ne era uscito, e, dopo qualche mese di inutile e affannosa detenzione fuori porta, doveva continuare a scontare la pena già comminata e sperava di tornare a farlo a Roma. Chiedemmo di riportarlo a Rebibbia, dove studiava e aiutava i compagni nei corsi di informatica, come ci dicono loro che ne sentono la mancanza e riferiscono che anche a lui sembrava giovare questo sentirsi utile.
In effetti, dopo il nostro sollecito interessamento, Alfredo è stato movimentato, ma a Milano, a San Vittore, di nuovo parcheggiato - pare - per un interrogatorio con un Pubblico ministero, per chissà quale fatto. Per qualche giorno sembra sia stato in infermeria, ora è in una cella pluriaffollata, dove deve dormire per terra, salvo che un compagno di cella più giovane – educato al rispetto dell'età - gli cede sovente il suo letto.
Mesi fa, su ricorso di un bosniaco detenuto proprio a Rebibbia, la Corte Europea dei Diritti umani ha condannato l’Italia per il trattamento degradante dovuto alla ristrettezza degli spazi di detenzione. La reazione del DAP è stata una surreale circolare che traduce pedissequamente (e un po' pedestramente) le argomentazioni della Corte, fino a stabilire che le celle possono stipare detenuti fino al limite di 3 mq. per individuo. E sarebbe interessante anche andare a vedere dove e come i detenuti usufruiscano di certi spazi, in verticale o in orizzontale? In spazi ampi o ricavati grazie a nicchie scavate nei muri spessi di certi antichi edifici? Ma soprattutto se venga considerato il profilo della persona, per età, condizioni di salute, psicologiche ecc ….
Insomma, a differenza dell'eroico detenuto bosniaco, vincitore del ricorso alla CEDU, per Alfredo a Rebibbia erano “stelle”. Perché non riportarcelo?