TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DELL'AQUILA, ORDINANZA DEL 7 LUGLIO 2014

LA STORIA DI MG, MALATO IN CARCERE. TRASFERITO 3 VOLTE IN SEI MESI, 2 RIGETTI, OGGI È FINALMENTE AI DOMICILIARI E POTRÀ CURARSI.
Breve commento a Tribunale di Sorveglianza dell'Aquila, Ordinanza del 7 luglio 2014. Commento di Valentina Vitale


La violazione del diritto alla salute nei confronti delle persone private della libertà costituisce uno dei principali problemi di cui si occupa il Difensore Civico di Antigone. Ogni settimana giungono, infatti, nella nostra sede lettere da parte di detenuti affetti da una qualche patologia che lamentano la mancata sottoposizione ai controlli, esami, cure, terapie… necessari. Quello che in tutte queste lettere viene in rilievo è il fatto che spesso anche in relazione a patologie non astrattamente gravi gli operatori sanitari non siano messi nelle condizioni di predisporre le giuste cure e terapie, naturalmente non per mancanza di capacità professionale. Capita inoltre che il malato venga trasferito da una struttura penitenziaria ad un'altra, spesso lontano dalla famiglia, alla vana ricerca dell’istituto in grado di far fronte al problema.
La vicenda che mi appresto a raccontare è un esempio tipico di questa situazione.
Ci ha contattato la prima volta, nel febbraio dello scorso anno, la moglie di M.G., un giovane di 36 anni ristretto all’epoca nell’istituto penitenziario leccese, affetto da “stenosi del giunto pieloureterale destro, kinking (inginocchiamento) dell'uretere sinistro e vescica iporiflessica”, patologia dell’apparato urinario che può comportare infezioni, infiammazioni e deficit della funzione renale, nonché il rischio di una compromissione definitiva dell’organo.
Si trattava di una disperata richiesta di aiuto, non essendo suo marito sottoposto alle cure e agli interventi previsti per questo tipo di patologia, così come prescritti dal medico specialista urologo di fiducia, che sin dall’inizio aveva consigliato la sottoposizione a trattamento chirurgico. A nulla sono valse le varie istanze di differimento pena per motivi di salute nelle forma della detenzione domiciliare. La Magistratura di sorveglianza leccese prima e, a seguito del suo trasferimento a Sulmona, la Magistratura di sorveglianza dell’Aquila, sulla scorta delle relazioni mediche dei sanitari penitenziari che, sia nel primo che nel secondo caso, hanno sostanzialmente  riscontrato l’astratta compatibilità della patologia con l’ambiente carcerario, hanno rigettato le istanze. Il carcere veniva considerato ambiente idoneo a trattare adeguatamente la patologia di M.G.
Allo stesso tempo però l’Autorità giudiziaria invitava l’Amministrazione penitenziaria ad una maggiore attenzione al fine di valutare il trasferimento di M.G. presso un istituto che potesse meglio soddisfare le sue esigenze di cura. Quindi, M.G. veniva trasferito per ben 3 volte nell’arco di soli 6 mesi: da Lecce a Sulmona, poi Parma e infine di nuovo Sulmona.
Nel corso della sua detenzione, M.G. si è visto pure costretto a praticare con le proprie mani alcune manovre di cateterismo, in ambiente evidentemente non sterile e non pulito, con il rischio di contrarre infezioni, di fatto contratte in diverse occasioni.
Peraltro, di fronte a tali circostanze il DAP, ha sempre ritenuto non necessaria la collocazione di M.G. in una struttura dotata di Centro Diagnostico e Terapeutico.
La disperazione per tale condizione e per la lontananza dai suoi affetti, ha pure portato M.G. a mettere in opera un tentativo di suicidio perché, come ci spiega nella lettera inviataci, “la sofferenza dovuta alla patologia mi ha offuscato la mente” facendo perdere ogni speranza nel futuro ed in una vita “normale”.
Infatti, come giustamente ha rilevato la dott.ssa Susanna Zecca, medico dello staff del Difensore civico di Antigone, dopo un attento esame della cartella clinica dalla quale è facilmente riscontrabile un peggioramento delle condizioni di salute di M.G., il carcere non è in grado di trattare la situazione sanitaria di M.G. con conseguente danno sia dal punto di vista della salute che dal punto di vista psicologico. Osservava la dott.ssa che “è indubbio come le attuali condizioni di detenzione siano assolutamente dannose per il (omissis)  sia dal punto di vista psicologico che dal punto di vista della salute. Infatti, nonostante l’impegno e la buona volontà del personale, le continue richieste di cateterismo on demand non riescono ad essere adeguatamente soddisfatte con conseguente rischio di sviluppare episodi di ritenzione urinaria acuta”.
Finalmente, in data 7.7.2014, con Ordinanza emessa a seguito della Camera di Consiglio dell'1.7.2014, il Tribunale di sorveglianza dell’Aquila in accoglimento dell’istanza presentata ai sensi degli artt. 147, co1, n.2) CP e 47ter OP., ha concesso a M.G. un differimento pena con detenzione domiciliare pari a 6 mesi, al fine di consentirgli di potersi curare al meglio, in ambiente sano, ed eventualmente sottoporsi a trattamento chirurgico.
Tale decisione si rileva di particolare interesse perché nel rivedere il giudizio espresso in via provvisoria dal Magistrato di Sorveglianza (e i precedenti del Tribunale di Sorveglianza di Lecce e Tribunale di Sorveglianza dell’Aquila), il Collegio fa propria un’interpretazione garantista dell’istituto del differimento facoltativo della pena per motivi di salute, rispettosa dei principi costituzionali dell’inviolabilità del diritto alla salute (art. 32 Cost.) e dell’umanità della pena (art. 27, co3). Principi sanciti a livello sovranazionale dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali, che in particolare all’art. 3 “Divieto di Tortura” dispone che “nessuno può essere sottoposto… a pene o trattamenti inumani e degradanti”.
Il Collegio, preso atto della mancata sottoposizione di M.G. alle terapie e cure necessarie, così come prescritte dal personale medico – vale a dire pratiche di cateterismo vescicale da espletare in sala chirurgica esclusivamente da personale infermieristico ed eventuale intervento chirurgico – e del conseguente aggravarsi della patologia, ha disposto il differimento della pena nella forma della detenzione domiciliare.
Come giustamente osservato dal Tribunale di Sorveglianza dell’Aquila, richiamando alcuni tra i più importanti precedenti in materia, l’esecuzione della pena deve avvenire nel rispetto del diritto alla salute e della dignità della persona.
Le condizioni mediche di M.G. sebbene non fossero tali da implicare un pericolo per la vita, avevano determinato un peggioramento complessivo del suo benessere tale da rappresentare una sofferenza aggiuntiva in conseguenza della quale l’esecuzione della pena si poneva in contrasto col senso di umanità (artt. 27 co 3 Cost. e 3 Cedu) e pertanto la sua prosecuzione si configurava come illegittima.
La ratio dell’istituto del differimento della pena va, infatti, rinvenuta proprio nel fine di scongiurare che l’esecuzione si ponga in contrasto con il diritto alla salute e con la dignità della persona che le sofferenze e le afflizioni derivanti dalle patologie e dalla mancanza di cure adeguate possono violare. Comportando una tale circostanza il superamento dei limiti della normale tollerabilità e l’illegittimità della pena (cfr. Corte EDU 22.04.2014, Cataldo c. Italia,  Corte EDU 17.07.2012, Scoppola c. Italia n. 4; C. Cassazione, sez. 1, n. 42488/2010; n. 22373/2009; n. 48203/2008; n. 36856/2005; n. 26026/2003).
Invero, la grave infermità fisica di cui all’art. 147, co 1, n. 2 c.p. non è solo quella con prognosi infausta a breve termine ma anche quella che, a causa dell’insufficienza delle cure, del peggioramento della patologia e delle continue sofferenze, comporti la violazione anche di quel minimo di dignità che pure in carcere si richiede debba essere rispettata.
L’esecuzione in violazione del principio di dignità personale, per le particolari condizioni di salute nel quale versa il detenuto, è infatti contraria al senso di umanità e, quindi, illegittima.

Leggi l'ordinanza completa (Tribunale di Sorveglianza dell'Aquila, 7 luglio 2014)