Sentenza Corte Europea Belgium and Greece n. 30696/2009 del 21.01.2011

Il Belgio condannato per violazione dell'art.3 della Conv. per rischi provenienti dalle carenze della procedura di asilo in Grecia e per le condizioni di detenzione e di vita in Grecia.

Commento di Maria Antonietta Lancellotti

La proibizione della tortura è un’indiscutibile propaggine del diritto alla vita, così come il diritto ad un ricorso effettivo può esserne considerato una logica conseguenza.
Questo l’orientamento della Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale è stata interpellata, nel caso di specie, per la violazione delle tre fondamentali disposizioni della CEDU (artt. 2, 3, 13) che garantiscono il rispetto dei diritti sopra enunciati.
Si tratta di una sentenza dall’importanza fondamentale in relazione al sistema istituito dal Regolamento Dublino II, lo strumento adottato dagli Stati membri dell’UE per stabilire i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato competente per l’esame di una domanda di asilo
M. S. S. , cittadino afghano entrato in Europa nel 2008, è stato infatti vittima delle autorità belga e greca, le quali, oltre ad aver arbitrariamente ostato alla possibilità di regolarizzare la posizione di rifugiato politico del ricorrente, lo hanno privato della dignità umana, perpetrando ai suoi danni un trattamento inumano e degradante.
Quando, infatti, M. S. S., arrivato in Belgio passando attraverso il territorio ellenico, è stato “rispedito al mittente” come un pacco postale, in forza del regolamento europeo “Dublino II” ( n. 343/2003/ EC ) che prevede che l’unico responsabile preposto a decidere le sorti di una richiesta d’asilo sia il Paese che ha per primo registrato il ricorrente al momento del suo ingresso in Unione europea, il Belgio ha contestualmente violato, a detta della Corte, gli artt. 13 e 3 della Convenzione: il primo, per aver negato a M. S. S. la possibilità di provare concretamente i danni che gli sarebbero derivati da una sua espulsione, il secondo, per aver disposto il trasferimento del ricorrente pur essendo stato dettagliatamente informato dall’UNHCR sulla normativa e sulle condizioni dei richiedenti asilo in Grecia.
Stessa sorte per la Grecia, condannata dalla Corte per aver sottoposto a condizioni di detenzione degradanti il sig. M. S. S. e per averlo lasciato in altrettante condizioni dopo il rilascio, nonché per avergli negato, al pari del Belgio, il ricorso ad un diritto effettivo. A tal proposito la Corte, sottolineando le lacune del sistema greco, caratterizzato da profonde carenze strutturali, quali l’assenza di un sistema di comunicazione tra il richiedente e le autorità preposte, l’insufficiente informazione e la scorsa preparazione professionale del personale responsabile dei centri di detenzione, ha manifestamente dichiarato l’inesistenza, in Grecia, di un ricorso universalmente accessibile.

Testo Sentenza