SENTENZE CORTE COSTITUZIONALE N. 386/1989, N. 445/1997, N. 173/1997

Le misure alternative alla detenzione come espressione del principio di umanità e del finalismo rieducativo. Commento di Silvia Talini

SENTENZE CORTE COSTITUZIONALE N. 386/1989, N. 445/1997, N. 173/1997

Le misure alternative alla detenzione come espressione del principio di umanità e del finalismo rieducativo. Commento di Silvia Talini

La finalità rieducativa e il principio di umanizzazione della pena, descritti dal 3° comma dell’art. 27 Cost., si sostanziano in tutti gli interventi volti a favorire il recupero della dignità sociale del soggetto ristretto. A tal riguardo, fondamentale è la previsione nell’Ordinamento penitenziario delle misure alternative alla detenzione tendenti a ridurre il carattere meramente afflittivo della pena in un’ottica di reinserimento del reo nel consorzio civile.

Il ruolo fondamentale attribuito a tali istituti emerge con evidenza in diverse pronunce della Corte Costituzionale, ciascuna delle quali è parte di un cammino progressivo teso alla massima valorizzazione di tali strumenti espressione diretta del disegno costituzionale.

Così nella sentenza n. 386/1989 a proposito dell’affidamento in prova al servizio sociale (art. 47 Ord. penit.), i giudici della Consulta fanno emergere come tale misura “ha consentito una più lunga osservazione del comportamento” e come, grazie ad essa, sia stato possibile conseguire “oltre agli effetti necessariamente retributivi, quegli effetti di rieducazione e di recupero sociale che attengono alla funzione di prevenzione speciale”.

Nella stessa ottica di valorizzazione si pone la nota sentenza n. 445 del 1997 a proposito del regime di semilibertà (art. 48 Ord. penit.). La Corte dichiarò l’illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 27 Cost., dell'art. 4-bis  comma 1° Ord. penit. nella parte in cui non prevedeva che il beneficio della semilibertà potesse essere concesso nei confronti dei condannati che, prima della data di entrata in vigore dell'art. 15, comma 1°, d.l. 8 giugno 1992, n. 306, avessero raggiunto un grado di rieducazione adeguato al beneficio richiesto. A fondamento di tale dichiarazione si trova la “biunivoca correlazione fra progressione del trattamento rieducativo e la risposta che lo stesso ottiene sul piano comportamentale” cui segue una naturale conseguenza: “Ogni misura si caratterizza,(…) per essere parte di un percorso nel quale i diversi interventi si sviluppano secondo un ordito unitario e finalisticamente orientato, al fondo del quale sta il necessario plasmarsi in funzione dello specifico comportamento serbato dal condannato Qualsiasi regresso giustifica, pertanto, un riadeguamento del percorso rieducativo, così come, all'inverso, il maturarsi di positive esperienze non potrà non generare un ulteriore passaggio nella "scala" degli istituti di risocializzazione”. Ed allora, se il comportamento del reo durante la detenzione è stato caratterizzato da “correttezza e adesione alle regole istituzionali” ma il trattamento subisce una “brusca interruzione” che non trova la sua ragion d’essere nel comportamento del soggetto che, anzi, si è mostrato “ meritevole di proseguire quel cammino rieducativo che proprio gli istituti previsti dall'ordinamento penitenziario - e fra essi, in particolare, la semilibertà - sono chiamati ad assecondare” ciò non può che essere in contrasto con i principi costituzionali posti a garanzia del finalismo rieducativo e dell’umanizzazione della pena.

Infine, a proposito della detenzione domiciliare (art. 47-ter) la Consulta nella sentenza n. 173 del 1997 fa emergere gli effetti della misura sul trattamento; in particolare, il fine rieducativo deve essere preso in considerazione non solo nel momento della concessione della misura ma anche in quello dell’eventuale sospensione del trattamento, poiché “una brusca ed automatica sospensione (…) può interrompere senza sufficiente ragione un percorso risocializzativo e riabilitativo; sicchè occorre riconoscere che la sospensione automatica”, posta in essere senza adeguate valutazioni di circostanza, “confligge con la finalità rieducativa assegnata dalla Costituzione ad ogni pena, e dunque anche alle misure alternative previste in seno all'ordinamento penitenziario.”


SENTENZE CORTE COSTITUZIONALE N. 386/1989, N. 445/1997, N. 173/1997